Le danze si aprono con ritmo: Laura Fedele vuol far muovere il sedere a tutti i presenti in sala. Lo fa con "Mississipi Goddam", pestando sul suo pianoforte e cantandoci l'amarezza di essere vittima di discriminazioni razziali.
Tutti i pezzi di questo disco, registrato nel 2004 nell'auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare Milano, facevano parte del repertorio di Nina Simone. Laura Fedele le rende omaggio in un trio jazz/blues molto equilibrato, accompagnandosi al piano supportata dal contrabbassista Dell'Ora e dal batterista Castiglioni.
Lei, la signora milanese del jazz, usa la voce come uno strumento, amalgamandosi perfettamente con i suoi compagni e interpretando fortemente ciò che canta. Ci narra le vicende delle eroine di Nina Simone con una voce mai banale, ora carezzevole, ora bambinesca ed ironica, ora rabbiosa: solo in rari casi prende il sopravvento, divenendo protagonista assoluta. Penso a "Four Women", brano oscuro ed ipnotico, nel quale ci caliamo via via nei panni di quattro sfortunate donne, che insieme coprono l'intero spettro di tonalità che la pelle può assumere. Escludendo il banco, chiaramente. Il brano è spezzato da un solo di contrabbasso suonato con l'archetto e culmina nell'esplosione vocale della strofa di Peaches: lei che, traducendo, "ha la pelle marrone e un brutto carattere", che "ucciderà il primo bastardo che incontra perché la vita è stata troppo dura con lei".
Laura non si lancia in prevedibili vocalizzi, la sua voce resta sporca, espressiva, velata. Si capisce che l'adoro.
Nel resto del disco, tra amori calpestati e gelosie, Laura Fedele ci snocciola una serie di classici, da "Don't Let Me Be Misunderstood" a "Just Like A Woman", fino ad una "Lilac Wine" forse troppo vicina all'interpretazione Buckleyana.
Una grande donna canta le proprie passioni e i propri tormenti con le parole di un'altra grande.
Carico i commenti... con calma