Dopo una serie di Ep in cui è riuscita a dimostrare la sua notevole capacità compositiva, Laurel Halo arriva finalmente al debutto sulla lunga distanza. Prima cosa che colpisce è la sanguinolenta copertina presa pari pari da Harakiri School Girl di Aida Makoto: un tripudio di Harakiri che preludono alle forti immagini del retro. Non ci si aspetti ora, con queste premesse, un album che assalta l’ascoltatore già dalle prime battute. Al contrario, questo è un lavoro senza un’ossatura portante, un essere invertebrato che pare si adagi preferibilmente su drones e cascate di sintetizzatori. E poi la voce. L’uso che qui se ne fa evidenzia un ricercato lavoro di intrecci vocali come finora la Halo non era mai arrivata ad architettare. Il fatto che manchi una vera e propria ossatura di base, nel percorrere tutte le dodici tracce, porta con sé tutti i pro e i contro del caso: si viene piacevolmente attraversati dalle sonorità subacquee messe in scena ma, al contempo, si nota un certo senso di disorientamento che non trova una convincente soluzione in nessuno dei brani.

Si parte con "Airsick": già qui troviamo un sunto di quanto si diceva. La base ritmica sembra un elemento di accompagnamento piuttosto che una vera e propria colonna portante, i sintetizzatori tengono accordi prolungati, le voci sembrano fluttuare sul tappeto sonoro. Nel brano successivo ("Years") l’impalcatura è ulteriormente destrutturata. I singoli strumenti sembrano andare ognuno per la propria strada e solo una strana alchimia pare legarli per dare vita al pezzo che si ascolta. Su questa linea poggiano le tracce successive fino ad arrivare a quello che, a detta di chi scrive, è l’apice dell’album: "MK Ultra". In questa traccia tutto quello che si è ascoltato appare come una grande prova generale per sviluppare questo gioiello di rara bellezza. Le spirali di synth e le basi ritmiche, al limite del soffocamento, accolgono un canto che a tratti suona come una lugubre nenia. Tutto trova senso. A questo punto il meglio è stato detto e le tracce che seguono fanno fatica a portare avanti il discorso esposto nella prima metà (nonostante non manchino momenti eccellenti). La chiusura è affidata a "Light + Space" che, in coda, si avvolge di armonie vocali placandosi su tastiere ambient. Un altro momento che gioca sicuramente a favore di questo disco.  

In generale questo lavoro rimane abbondantemente sopra la media ma, anche con ripetuti ascolti, non riesce a convincere come ci si sarebbe aspettati. Tre stelle che anelano a quattro.

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