Intro_Divido l'acqua dentro di me da quella fuori, segno i limiti del muro dal cielo che non ho disegnato io, quantifico i danni della ruggine sulle mie ginocchia dopo notti davanti a nbatv su un divano ikea che fa scivolare qualsiasi tipo di coperta come se fosse allergico. E penso, a te a me a un battito animale che dà il ritmo alle nostre ombre e alle nostre parole bollenti al led del mio blackberry che s'accende così poco che mi tocca arrampicarmi sulla mia immaginazione per realizzare quel che accade in quello specchio dove vedo di me solo un tratto vaporoso amoroso. Odi la luce, e così ti vesti di buio. Ma così facendo fai lavorare le mie mani, e torturi i miei occhi. Esercizio della sera, di autodisciplina: chiudere gli occhi, prendere il kit del prestigiatore, e invece di far comparire un coniglio dentro il cilindro, far vedere le mie mani. Dar loro la vista. Ci sono già riuscito. Lo sento. Lo vedo. Come parlare a sillabe invece che sciolto, ma è pur sempre un modo di parlare. Di dirti che ti amo_ ("Di_vi_do", ad A., la mia fidanzata, sulla strada per vedere Le luci di una centrale elettrica, anzi della centrale elettrica)
In ritardo di una mezzora buona sul previsto inizia il concerto, con un ospite a sorpresa, una violoncellista. Il violoncello, che poteva essere un'idea e invece s'è rivelata na mezza stronzata a mio parere. Giorgio Canali è un grande, anzi è l'uomo giusto al posto giusto, per come sa stare sul palco, per come accompagna e sa stare al suo posto, per come assiste il figlioccio luccicante quando si sente da solo più del solito (cioè... quasi sempre, le sue canzoni infatti parlano sempre di "andiamo", mai di "vado", o di "vieni con me" quell'andiamo come se fosse impossibile per lui non avere qualcuno o qualcosa che lo sostiene se non "sostituisce" nei suoi momenti d'assenza spazio-temporale), ma vuoi mettere al posto del violoncello un'altra chitarra, un "chitarrone" alla Mogwai che faccia na specie di wall of sound e dia meno malinconia ma più durezza, più "profondità frontale" alle sue canzoni?
Che poi non sono canzoni, sono urla, sfoghi attaccati con le mollette ad asciugarsi al sole e al vento in un filo stendibiancheria come fosse un pentagramma nel giardino... Già ma quale giardino? Le luci della centrale elettrica non prevedono giardini, fiori che sbocciano, cinguettii di uccellini in primavera, i colori sono pochi, anzi meno di tre, il bianco e il nero e tutto quel che ne consegue. Col nero che domina il bianco fino a sodomizzarlo. Volevo andare a chiedergli "ciao vasco, ma ti chiami così perchè i tuoi sono fans di vasco rossi?". Ma ho lasciato perdere, sarebbe stata una domanda troppo idiota. Ho preferito così non rovinare di più una serata che non aveva soddisfatto le mie aspettative. E, cosa molto rara per me, sono uscito prima della fine del concerto. Non per fastidio o per delusione, ma per un senso di incomunicabilità che stava rovesciando a secchiate su tutti. Poi fino a quel momento aveva detto tre parole in tutto, son cose che sopporto malvolentieri. Anche se so che non fa il personaggio, e 'lui fatto cosi' e basta...
Avevo appena visto davanti a me un grande talento che però parlava dei suoi circoli viziosi e inconcludenti che lo avevano preso in ostaggio. Un grande talento della parola che parla (quel poco che parla) come Luca Carboni, e non lo considero un complimento. In ostaggio, per non dire prigioniero, perchè da sempre per carattere sono ottimista, e voglio pensare che un giorno Vasco si liberi di tutto questo catrame corrosivo che ha dentro e che lo trasformi in argilla guaritrice. E che mi faccia una ballata per vedere le cose belle del mondo con la stessa capacità con cui guarda il peggio, quello con la p maiuscola.
Carico i commenti... con calma