Il terzo album dei Led Zeppelin è senza ombra di dubbio il piú bistrattato dalla critica musicale.
La cosa che colpisce di piú è che, a fronte di tanta immondizia cui viene conferita una presunta dignità di "storicità", la terza opera di questo gruppo che ha traghettato il rock dalle striature blues al fenomeno hard (partecipando inoltre in modo significativo a spostare la scena musicale dagli USA allo UK) è stata tanto male accettata all'epoca dell'uscita quanto snobbata in seguito, quasi fosse un errore di percorso della band, che si voglia includere "Houses of the Holy" tra i consigliati o meno.

 La verità è che Jimmy Page, dopo tanta e tale gavetta negli Yardbirds, dopo il successo degli estenuanti tours fra i diversi continenti, dopo il clamore per i primi due album, con il secondo - diversi dischi d'oro - che addirittura è stato registrato negli intervalli di un tour statunitense con scopiazzate (pàrdon, libere reinterpretazioni artistiche) di melodie locali, Jimmy Page - dicevamo - si rinchiude con il suo gruppo in uno sperduto cottage del Galles e medita sulla propria vena artistica.
In questo contesto ha gestazione il terzo album dei Led Zeppelin, il piú complesso.

Il disco (che vuole preferibilmente essere ascoltato in vinile, a volume "realistico") apre il sipario con un pezzo, "Immigrant Song", che seppure si ricolleghi chiaramente al proprio pubblico per le sonorità dure e quella voce che segnerà la strada per ogni gruppo hard o metal a da venire, già lascia presagire qualcosa di diverso nella struttura, praticamente priva di refrain, e nel testo, sempre abbastanza riottoso, ma ben diverso dai vari "... way, way down inside, honey, you need it..." e "...squeeze me, baby, till the juice runs down my leg..." che esemplificano esaustivamente le profonde tematiche del secondo album.
Si prosegue con "Friends", un ricco miscuglio d'influenze e sonorità, prima canzone pubblicata dai Led Zeppelin con la completa rinuncia alla potente batteria di Bonham, quasi ad intendere che si volessero aprire degli spazi per una nuova formula musicale (cosa che si ripeterà più avanti nel disco). Tranquilllizzati i fans con la "classica" "Celebration Day", ci regalano pure la ballata blues di "Since I've Been Lovin' You", che con quella voce e quelle sviolinate di chitarra vai a prendere una birra in frigo e pensi alla prima storia della tua vita.

Ma, senza dilungarmi troppo, adesso io chiedo ai piú volenterosi tra voi di ascoltare "Tangerine", fino alla fine della prima metà (con la chitarra che parte dopo 1:40, fino a 2:02) e vi domando: ma è l'ultimo, struggente, singolo del gruppo metallaro di grido, oppure è uno spiraglio di luce, la piega del gomito di una scultura di Michelangelo, registrata 32 anni fa?

Un disco bello, bellissimo, cosí ricco d'inflessioni e divagazioni artistiche che non merita di essere apprezzato da chi non riesce a capirlo. Quelle morbidezza e melanconicità che vengono considerate a tutt'oggi eccessive, verosimilmente alimentavano quella stessa vena artistica da cui sta per sgorgare "Stairway to Heaven" e che, quando si esaurirà, lascierà i nostri a ricercarsi tra aridi riff e gorgheggi da cugini di campagna (con tutto il rispetto).

Carico i commenti... con calma