E' convinzione comune che in recenti anni quella orientale sia, se non la più importante, sicuramente una tra le più importanti cinematografie dal punto di vista della produzione horror: si pensi ai celeberrimi "Ringu" di Hideo Nakata o "Ju-on" di Takashi Shimizu, che hanno "subìto" (mi sembra proprio il caso di dirlo) dei remake americani, o anche i meno famosi "Exte - Hair Extension" di Sion Sono o "Shutter" di Banjong Pisanthanakun (anche questo vittima, più dei due film sopraccitati, di un remake americano).

Ma esiste un Paese, la Corea (la nomino senza distinzione politica tra nord e sud) che, pur avendo prodotto degli ottimi film horror (uno su tutti, "I Saw the Devil" di Kim Ji-woon) è diventata celebre grazie a film di altro genere, soprattutto drammatici: è impossibile non citare, fra tutti, il genio di Kim Ki-duk, di cui citiamo solo un paio di titoli come Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera e Ferro 3 - la casa vuota. Però, non sarà uno dei suoi film l'oggetto di questa recensione. E non sarà neanche un film drammatico. Bensì, una commedia. Sto parlando dello splendido "Castaway on the Moon", diretto da Lee Hae-jun, del 2009.

Come si deduce dal titolo, si tratta di un film su un naufragio, con diversi riferimenti e citazioni ad un altro film di questo tipo, ben più famoso (mi riferisco ovviamente a "Cast Away" di Robert Zemeckis). Però, non si tratta di un naufragio sulla luna. Kim Seung-geung è un uomo in preda alla disperazione, dopo aver perso quasi tutto (soldi e fidanzata), e decide così di togliersi la vita gettandosi da un ponte di Seul. Ma è una persona poco fortunata. "Non sei capace neanche di toglierti la vita", dice a sè stesso. Infatti, si ritrova su un'isoletta in pieno centro città. E qui pensa nuovamente a togliersi la vita, ma poi cambia idea: quell'isola diventerà la sua nuova casa. Dopo aver trovato una bustina per preparare degli spaghetti ai fagioli neri, dedicherà tutto il suo tempo per produrre degli spaghetti (pietanza che in vita sua ha sempre rifiutato, pentendonese, ora). Nel frattempo, Kim Jung-yeon, una ragazza che da tre anni non esce dalla sua camera se non per andare in bagno (esclusivamente quando i genitori sono al lavoro), vive la sua vita su internet. Il suo unico rapporto con il mondo esterno avviene di notte, quando fotografa la luna, oppure quando, due volte all'anno, la città diventa deserta per un'esercitazione organizzata dalla protezione civile. Solo allora esce di casa. Una sera, però, fotografando la luna, le capita di vedere il naufrago, che lei, all'inizio, chiama "alieno". Nasce così uno strambo, ma emozionante, rapporto a distanza tra i due.

La cosa che colpisce maggiormente di questo film, ad un primo sguardo, è la fotografia: tutti i colori sono molto accesi, talvolta quasi accecanti. Un'immagine nitidissima che ritrae un uomo distrutto e sporchissimo (da naufrago c'è poco tempo per la cura dell'igiene personale): personalmente, mi piace moltissimo come idea. Così come la fotografia, anche la regia è di pregevolissima fattura: al suo secondo film da regista (precedentemente si era dilettato solo nella scrittura di film), Lee Hae-jun sa regalarci degli ottimi movimenti di macchina e delle immagini dal fortissimo valore simbolico. Talvolta, un solo fotogramma è in grado di raccontare un'intera storia, o,comunque, di parlarci direttamente. La sceneggiatura riesce ad alternare egregiamente momenti di pura comicità (personalmente adoro alla follia la scena in cui, all'inizio, prova ad accendere un fuoco con il legno) ad altri in cui siamo invitati a riflettere. Ma il passaggio da momenti leggeri ad altri più seri non avviene con uno stacco netto, bensì è graduale, quasi si fa fatica ad accorgersi quando avviene questo passaggio.

Ovviamente, conoscendo la trama, risulta lapalissiana la critica che si cela nelle battute di questo film: un naufrago in mezzo ad una città, anzi, una metropoli. Metropoli che è simbolo evidente del progresso teconologico, scientifico, sociale e chi più ne ha più ne metta. Un uomo, quasi costretto da questo mondo moderno al suicidio, diventa naufrago, mentre la vita moderna passa a pochi metri da lui. E lui, ridotto ad uno stadio quasi primitivo dell'evoluzione dell'uomo, finalmente trova la felicità, tanto che quando SPOILER ALERT! cercano di portarlo via da quell'isola lui prova a non farsi prendere, invano. Questo mi fa pensare ad una sola, possibile interpretazione: tutti questi averi che possediamo, in verità posseggono noi. La vera felicità sta nelle cose semplici. In un piatto di spaghetti ai fagioli neri, che, come dice il protagonista stesso, "rappresentano la speranza". La speranza è quello che serve per andare avanti a vivere. La speranza è quello che determina la nostra vita, secondo il regista, mentre l'altra Kim, la ragazza che ha scelto l'isolamento, e che è un po' l'incarnazione della modernità fatta di social network e vite fittizie on line, dice: "Non importa se quello che faccio è reale o meno. Sono i commenti sul mio profilo che stabiliscono qual è la verità". Mai citazione fu più angosciante...

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