L’uomo giusto al momento giusto.
Nei primi anni 90 si avvertiva la sensazione che il pubblico fosse in cerca di un nuovo eroe della musica black da incoronare; la promessa di Terence Trent D’Arby non era stata mantenuta, la carriera di Jackson cominciava ad essere affossata dai primi pesanti pettegolezzi e persino Prince pareva aver dimenticato la genialità negli anni 80 quando ecco arrivare sulle scene Lenny Kravitz, l’uomo che sembrava dovesse salvare il rock nero.
Lunghi dreadlocks, look glam, pose da star consumata, Kravitz sembrava fatto apposta per diventare una rockstar… citava Hendrix e Lennon tra i suoi maestri, incideva dischi utilizzando solo strumenti e apparecchiature vintage per ottenere un suono sincopato e sporco (che in piena era grunge non stonava) quasi arrivasse direttamente dagli anni 70.
Nel ’93 aveva all’attivo due bei dischi ('Let Love Rule' e 'Mama Said') che ottennero un buon successo di pubblico (e soprattutto di critica) e anche una controversa e chiacchierata collaborazione con Madonna per il brano Justify My Love, ma in quell’anno la sua carriera ebbe una svolta con la pubblicazione di 'Are You Gonna Go My Way' che lo trasformò in un divo.
L’album fu trainato al successo dalla rockeggiante e aggressiva title-track tutta costruita su un unico riff di chitarra potente e orecchiabilissimo, che è rimasta forse il suo brano più celebre… il resto dell’album, godibilissimo (seppur leggermente inferiore ai precedenti), vede Kravitz destreggiarsi, con non poca paraculaggine, tra diversi generi tutti contaminati dalla sua attitudine black. Eccolo dunque fare il verso (a suo modo) ai padri del soul in pezzi quali Black Girl e Sugar (quest’ultima sulla falsa riga del precedente hit It Ain’ t Over Till It’s Over) o tingere il suo rock con colori psichedelici (My Love), dare prova di abilità chitarristica in Sister (lunga ballata molto 70’s, un po’ soporifera) e flirtare col reggae (Eleutheria… non proprio riuscitissima). Altri due singoli furono estratti dall’album, la sentita ballata “spaziale” Believe e la delicata Heaven Help, che ne consolidarono il successo.
Successo e fama che saranno proprio il tallone d’Achille di Kravitz che, dopo il mezzo flop del successivo "Circus" (oscuro e sottovalutato), inseguirà (e otterrà nuovamente e maggiormente) scendendo a non pochi compromessi, levigando eccessivamente la sua musica, interessandosi troppo della sua immagine da sex-symbol perdendo completamente freschezza e soprattutto quella paradossale originalità nel riproporre vecchi stilemi musicali che l’aveva portato alla ribalta.
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