Elogio a Carmen. E lo so che un elogio - a questa Carmen, quella del Maggio fiorentino - non lo leggerete altrove. Ma voi non siete altrove.


Elogio a questa Carmen. E fino a ieri avrei pensato di scrivere il contrario.


Rapido riassunto per chi si fosse perso le puntate precedenti.


Il Maggio fiorentino, nella persona del regista Leo Muscato, mette in scena il capolavoro di Bizet. E decide un paio di cose.

  • - di ambientarla ai giorni nostri, e Carmen è una zingara in un campo rom. Don José un poliziotto.
  • - di fare che Carmen - alla fine - non muore. Perché? Perché basta vedere femminicidi.

Da lì - da questa seconda scelta - il delirio. Preventivo. Il politicamente corretto. La Boldrini. Il Papa. Cambiare i finali (al proposito, lo so che sono un cazzone, ma non riesco a non citare un finto Boskov letto su twitter: se cambiare i finali io volere cambiare finale coppa campioni 1992. Grazie. (E grazie anche a chi - a fronte di tale simpatico e falso post - si è sorbita una telefonata chilometrica)).

Articoli, editoriali, elzeviri, ogni cosa. E tutti (io pure, lo confesso) sicuri di una cosa.
No, non si può. Peggio che mettere le statuine di Maradona nel presepe. Non si fa, difendiamo le tradizioni, la cultura, la storia.


Oppure - anche più semplicemente - difendiamo l'intelligenza. Vuoi una donna che - con tutte le ragioni del mondo - uccide un poliziotto? Fai Tosca. No Carmen.


Poi arriva il sette gennaio. E io - mica vado a Firenze - la sento. Grazie a Radiotre (si può - una volta per tutte - dire grazie a Radio Tre? Risposta: non lo so, ma io sì: grazie).


Chiaro che sentirla non è come vederla. Però, dai, proviamoci.


Prima impressione. Il direttore d'orchestra o ha fretta o gli piacciono le marcette militari. Bene, penso, si troverà bene con il coro dei bambini del primo atto.
Seconda impressione. A parte le parti che ho rovinato cantandole io (e si sa che so tutte le parti a memoria, anche in francese) Carmen mi piace, Don José sei e mezzo, come Micaela, Escamillo non lontano dalla sufficienza.
Terza impressione. Fino al secondo atto il pubblico - quelli lì che vedono - applaude, convinto.
Quarta impressione. Nell'intervallo intervistano il Leo Muscato. Ora, credetemi, ci sono poche cose che mi fanno avere pregiudizi come uno che arriva e mi dice: io sono regista d'opera. Giuro, se uno arriva e mi dice guarda ho sterminato la famiglia un'attenuante gliela dò. Se mi dice faccio il regista d'opere no.

Beh, il Leo Muscato mi sembra un bravo ragazzo. E dice delle cose anche serie e sensate. Una su Don José (uomo violento ma quasi suo malgrado) che non lo so se condivido. Penso più di no. Ma fa niente. La dice con garbo. E io - quando uno dice cose così, che a me sembrano sbagliate, ma le dice in quel modo - io dò il battesimo a un piccolo tarlo. Dentro la testa. E me lo porto dentro. Un piccolo discorso, una discussione. Tra me e me. Dopo vediamo chi ha ragione.


Poi succede quello che avrete letto (a dire il vero mica su tutti i giornali, qualcuno se l'è fatta raccontare e non l'ha capita, ma vabbé).

Succede che arriva il quarto atto.
E Carmen, a Don José che la implora, dice no.


(Breve parentesi. Mi ringrazierete. Domani, o quando finirete di leggere questa roba chilometrica, potrete sfoggiarla mentre bevete il caffé con gli amici. Credetemi, solo robba buona...
Carmen - l'opera - dice una cosa semplicissima. Per dire dice la stessa cosa che dice l'Attimo Fuggente. O qualunque film di Peter Weir. C'è questo Don Josè, che fa il poliziotto. Un impiego sicuro, statale, la tredicesima. E ha pure una donna. Bella, carina, vergine, con le trecce, che parla con la mamma quando va alla Santa Messa. Si chiama Micaela. E - pur con molta fatica - già nel primo atto il Don José riesce a baciarla. Tutto a posto, direi. E invece no. Perché a un certo punto arriva un ciclone. Il ciclone si chiama Carmen. Carmen è una zingara, una rom, una quello che cazzo vi pare. É una che - nella vita - ha deciso che fa quello che cazzo le pare. E ne paga le conseguenze. Carmen è Moby Dick. É la potenza della natura. Che non parla il linguaggio degli uomini. Che se la vedi non puoi non amarla. Ma - e questo è Carmen l'opera - amarla non è abbastanza. Don José - ad amarla - ci prova. Una messinscena scaligera di qualche anno fa vedeva il tutto dalla parte di Don José. Povero e disperato amante. Secondo me lettura scandalosa. E troppo politicamente corretta. In due parole uno schifo. Ma basta parentesi. Il nostro poliziotto vede Carmen. E perde la testa. Ma non abbastanza - almeno per Carmen. Per cui - lei, dopo un po', gli dice basta. Lui non lo accetta, e la stalkera. Quelle robe tipo feisbuc, che ben sapete. Lei non lo caga nemmeno di striscio. A lei - adesso - piace lo scemo di Escamillo (è anche bello). Ultimo atto. Don José trova Carmen. Da solo a sola. Finalmente ha risolto il problema di mamma, della fidanzata vergine con le trecce, di tutto. Ha il fiore che lei gli ha dato. Si inginocchia davanti a lei. Le dice farò tutto quello che vuoi. Lei risponde no. Tutto quello che voglio è già passato. E te non lo hai fatto. Per cui una scelta. O mi lasci fare quello che voglio o mi ammazzi. Non ci sono alternative. Scegli te)


Chiusa parentesi. Carmen dice no. In una meravigliosa messinscena del 1965 che ho scoperto due giorni fa, Carmen prende il coltello dalle mani di Don José. E si uccide. Lei - da sola. Lui - poi - lo prevede il libretto, si consegna alle autorità. Dice l'ho uccisa, arrestatemi.


Ma io apro un sacco di parentesi. E dopo perdete il filo (ma mi ringrazierete!). Perché quello di cui voglio parlarvi è quello che succede qua.

Il 7 di gennaio del 2018 al Maggio musicale fiorentino. Succede che il regista - o chi per lui - decide che basta femminicidi. Questa volta sarà Carmen che uccide Josè!
Ora, a casa mia queste cose non si chiamano idee. Si chiamano stronzate. E - cosa ve lo dico a fare - quello è un regista d'opera, a me lo dici?


Poi succede ancora di peggio. Succede che - arrivati al punto, la pistola di Carmen non spara. Si inceppa. Due volte. Il povero Don José risolve l'imbarazzo. E muore. Probabilmente d'infarto. Poi - come prevede il libretto - va a consegnarsi alle autorità (da morto. Avrà delle attenuanti?).


Sipario. Fine. Il pubblico - prima era molto contento - comincia a fischiare. Dice - certamente - ma come? siamo il paese migliore al mondo nella costruzione di armi e a Carmen date una pistola che si inceppa? Non si può! É scandalo! Peggio che le statuine di Bin Laden nel presepe!


E da qui articoli, su tutti i giornali. Le ironie, le cose.

E un grazie.

Mio.

Che da due giorni, dal sette di gennaio, mi tocca (sanno che "sono quello che gli piacciono le opere") di spiegare a tutti Carmen.
Ma non solo Carmen. Anche Otello in una nave da crociera.
Anche Boheme in un supermercato.
Anche Boheme che si toglie la cuffietta e non ha i capelli.
Anche Zauberflote ambientato in una scuola.
Oggi pomeriggio ho mostrato una Tosca sadomaso e quasi Matrix che hanno fatto ad Oslo. Il tipo a cui l'ho mostrata mi dice: cazzo, però il tenore è bravo. (i giornali, gli opinionisti, di quella Tosca mica hanno parlato. Se avete pazienza, come si dà la caramella ai bambini, alla fine vi metto un link (ma mica vi appassionerete alle parentesi???)).

Aperta parentesi. E musica dei flashback. Pensate a un piccolo (lo è tuttora, ma lì anche anagraficamente) andisceppard studente sui banchi di scuola. Al liceo. A leggere Hegel, che diceva IL ROMANZO É LA MODERNA EPOPEA BORGHESE.
Perché lui - Hegel - parlava così. Maiuscolo. Sempre. Quelle robe che ti devono restare in testa. Per sempre. Anche a me.
E anche la domanda che ne veniva di conseguenza. Ma cazzo, ma noi, noi italiani, di romanzi ce ne abbiamo solo uno. Gli altri - i francesi, i russi - tutti, ne hanno un milione! Domande così, a me, fanno dare il battesimo a un piccolo tarlo, che si muove nella testa. E a discussioni. Tra me e me. Vediamo chi vince.
Nel caso specifico risponde un saggio - meraviglioso - di Quirino Principe. Dice una cosa semplice. Dice volete sapere perché noi non abbiamo avuto il romanzo ottocentesco? É semplice! Perché noi avevamo il melodramma! Che faceva la stessa cosa. Finisce la musica del flashback. Si chiude la parentesi. Muore il mio piccolo tarlo.

Così mi capita che litigo, in un sito di fascistelli, perché parlano di Carmen. E non glielo permetto. Così mi capita che dopo aver mangiato due schifezze spiego che lo Zauberflote versione Star Wars lo tengo preziosissimo nel mio computer. E sono incazzato. E innamorato. E ogni emozione mia e di ogni mio interlocutore, è fortissima. E leggo le recensioni, i commenti, gli editoriali, gli sfottò, ogni cosa. E mi incazzo. E dico la mia. E spiego. E faccio sentire. E vedere. E ognuno di noi ha un'opinione. E siamo tutti - lì - a parlare della stessa cosa. Come quei giorni che a Milano nevica. E tutto va in tilt. E ogni persona ti parla. E ti dice la sua. E ti ascolta quando gli racconti la tua.

Una cosa così.
Che non ce l'ha nessuno.
Ce l'abbiamo avuta solo noi.
E io - non i presepi - questa me la tengo stretta.
Una cosa che ti fa innamorare. Che ti fa incazzare. Che ti fa dire la tua. Che ti fa sentire meglio del miglior critico, meglio del miglior maestro di Conservatorio.

SI CHIAMA OPERA, AMICO.

E IO - SARÒ STRANO - QUESTA ROBA QUI LA AMO.

Per cui - non ne sentirete molti di elogi - ma questo è un elogio. A quella cazzo di Carmen lì. A quella pistola che non sparava. A quello scemo di Leo Muscato. Che ogni giornale, ogni singolo passante che incontravi aveva da dirti la sua. Per esserci riuscito. A fare una roba così, nel 2018. Di fondo - ma è sempre così - è bastato poco. Una pistola che fa cilecca. Un cazzo di finale cambiato. Si chiama mestiere, amico.



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