Dio salvi Kelley Lynch e tutti i truffatori che popolano questo amabile pianeta.

Fino a ieri, Kelley era il bellimbusto che gestiva il cospicuo gruzzolo che Leonard Cohen accumulava sotto il materasso per godersi una serena e paciosa pensione.

Solo che un giorno Leonard scopre che Kelley quel gruzzolo lo va sperperando bellamente accompagnandosi a donnine allegre e navigando tra fiumi di Moet e Chandon. Sotto il materasso non ci sono rimasti nemmeno gli acari: ripulito tutto.

Il tapino Leonard, alla tenera età di ottant'anni, per evitare di finire i suoi giorni in miseria è costretto a tornare al lavoro, l'unico che ha praticato sin da giovine: comporre canzoni e cantarle con quella voce che prima c'è solo Van Morrison, ma anche no.

Negli ultimi anni, Leonard pubblica una caterva di materiale che in altri tempi avrebbe diluito in due decenni. Sarebbe legittimo pensare che la qualità latiti, anche perché lo scopo è dichiarato candidamente: servono canzoni da vendere perché di soldi non ne è rimasta neppure l'ombra, ed è vero che i soldi non comprano la felicità ma i beni di prima necessità, quelli sì; quelli nessuno te li regala, nemmeno se ti chiami Leonard Cohen e prometti di esibirti a domicilio in cambio di un tozzo di pane e di un umile giaciglio.

Ma non va proprio così, tanto che da un simile bailamme ne vengono fuori un paio di album in studio – «Old Ideas» e «Popular Problems», entrambi molto belli – ed addirittura quattro dal vivo.

Qualche mese fa, Leonard se ne esce con un nuovo disco dal vivo, «Can't Forget», e di nuovo coglie in pieno il bersaglio.

«Can't Forget» è uno spin off del live a Dublino pubblicato appena sul finire del 2014, un souvenir del Grand Tour come recita il sottotitolo, ma allo stesso tempo se ne distacca, fosse solo per il fatto che non ci sono sovrapposizioni tra le scalette delle due opere.

Anzi, Leonard impreziosisce il disco regalando due inediti. Uno dei quali, «La Manic», è un classico della tradizione popolare canadese che Leonard canta sfoderando un implacabile francese da arrotino ed il pubblico accoglie con l'entusiasmo di regola riservato a «Suzanne» e «Joan Of Arc»: uno spettacolo, che da solo vale il prezzo del biglietto per chi ha la fortuna di trovarsi a Quebec City il 2 dicembre 2012, ma pure il prezzo del disco per tutti gli altri che quella stessa fortuna non ha baciato.

E poi ci sono canzoni più o meno recenti, e se cercate i classici qui trovate “solo” «Joan Of Arc». Ma la grandezza di Leonard, in fondo, è la sua capacità di donare la dignità del classico a qualsiasi interpretazione, per cui «I Can't Forget», «Light As The Breeze» e «Night Comes On» ed ogni singola nota che proviene da questi solchi è un classico alla stregua di «Joan Of Arc».

Ad accompagnare il buon Leonard un gruppo di amici fidati (di quelli che non ti ripuliscono sotto il materasso, per intendersi), Valgono tutti, ma chi difetta di pazienza almeno dia ascolto alle sorelle Charley e Hattie Webb, due voci angeliche come non se ne sentivano dai tempi in cui Margo Timmins esibiva le sue doti con minore parsimonia: la meraviglia di «Joan Of Arc», in quest'occasione, è anche merito loro, soprattutto merito loro si potrebbe azzardare.

Paradossalmente, sarebbe auspicabile che questo disco vendesse poco o niente, così da costringere Leonard a racimolare qualche spicciolo scrivendo e cantando fino all'ultimo dei suoi giorni.

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