Donna, tutto si fa per te (Quartetto Cetra) ...

… per cui, è immancabile prima o poi, provare a dare risposta alla fatidica domanda, ma tu l'hai mai fatta una pazzia per una donna?

Immagino che uno come Lester Young, a domanda risponda, altroché, ho smesso la batteria per il sassofono tenore!

Lester per la prima volta approccia la musica nel complessino di famiglia, un carnival show messo su dal padre, quando decide di averne abbastanza del mestiere di fabbro e realizza che strimpellare una chitarra è meno duro ed altrettanto redditizio (e pure di più) che battere il ferro; papà Young coopta pure Lester e decide che il suo posto è alla batteria, decisione peraltro attentamente ponderata, o alla cazzo di cane, come si dice in gergo.

Però Lester in quella postazione non ci si ritrova proprio, per cui rifiuta ostinatamente di apprendere anche i basilari rudimenti dello strumento e della tecnica musicale, e se proprio gli tocca battere su quei tamburi, allora batte un tempo tutto suo che non si concilia granché col resto della combriccola; va così che papà Young lo estromette dal gruppo, per irrispettosa insubordinazione verso l'autorità costituita, salvo poi reintegrarlo quando realizza che nessuno, ma proprio nessuno, vuole piazzarsi al posto del piccolo Lester.

La questione non è tanto la difficoltà dello strumento ma – e Lester lo ha capito volo, perché è piccolo ma mica stupido – che stare lì ogni volta a dover montare e poi smontare la batteria è una seccatura non indifferente, oltre che una faticaccia, e porta via un sacco di tempo; quello stesso tempo che gli altri famigli spendono allegramente intrattenendosi con le fanciulle che si affacciano per assistere allo spettacolo, mentre Lester se ne sta tutto indaffarato a montare e poi smontare quell'aggeggio infernale.

Per cui «Adesso basta!», prorompe Lester quando assiste alla scena del cugino che si apparta con quella biondina tanto carina che poco prima gli sorride affabilmente e lui niente, nemmeno ha il modo di ricambiare quel sorriso, tutto intento ad asciugarsi col dorso della mano il sudore che cola dalla fronte, mentre sta a metà dell'opera di montaggio di quella stramaledetta batteria.

Per cui «Adesso basta!», prorompe Lester, e pare Joey Ramone quarant'anni dopo, quando butta all'aria tamburi e tamburelli per piazzarsi davanti al microfono: il paragone non c'entra niente, tanto più che Lester si risolve ad imbracciare un sassofono tenore, ma serve a buttare là con disinvolta nonchalance un pensiero per i Ramones, che è cosa buona e giusta sempre, dopo di che la storia può proseguire.

Quindi Lester si risolve per il sassofono tenore; perché con il sassofono tenore che ci vuole, in un baleno lo estrae dalla sua custodia e sempre in un baleno ce lo ripone, e tutto il tempo che avanza lo trascorre in compagnia di una sorridente fanciulla.

Che poi altro non è che un'innocente evasione fanciullesca, appunto, Lester è meno che adolescente; però così va la storia, che abbandona la batteria e imbraccia il sassofono per via delle fanciulle che vanno allo spettacolo; fanciulle che poi crescono e diventano donne, al plurale.

Però nella vita di Lester di donna ce ne sarà solo una, ancora di là da venire; e quando verrà, con lei non sarà amore ma qualcosa di più profondo e duraturo.

È l'amico è (Dario Baldan Bembo) ...

… qualcosa che più ce n'è meglio è, ovvio.

Lester di amici non ne ha tanti, forse perché è un po' strambo – non un eclettico come lo sono i musicisti talvolta – e infatti a un certo punto si ritrova ad essere certificato «decisamente schizofrenico, tuttavia in un modo semicontrollato, parzialmente arrestato», per il senso comune un disadattato.

Rimane da comprendere chi sia il disadattato, se chi ti presenta un modulo da compilare dove, tra l'altro, ti si chiede se fumi marijuana oppure tu che rispondi sinceramente di sì.

A Lester quella sincerità, durante il servizio di leva, costa il giudizio dinanzi alla corte marziale, cinque anni di reclusione (poi ridotti ad uno ma con successivo supplemento di pena) e il congedo con disonore.

Memore di ciò, quando richiedo il visto d'ingresso negli Stati Uniti e mi trovo a dover rispondere al quesito se sono intenzionato a compiere atti di terrorismo, spionaggio, sabotaggio o genocidio ci penso su un attimo, tentato di rispondere di sì, così per vedere l'effetto che fa, seppure il clima di Guantanamo non mi si confà; poi rispondo di no, ma la mia ammirazione profonda per questo popolo ne esce rinsaldata vieppiù.

Per cui, congedato con disonore; ma Lester si limita a ripetere che ne è uscito e conta solo quello; anche se di amici, fuori, se ne ritrova pochi, si contano sulle dita di una mano.

Ecco i nomi.

Roy Eldridge. Pure Roy è un musicista, un trombettista per la precisione, ed è uno di quelli bravi, sono in tanti a mettere la mano sul fuoco che se esiste un anello di congiunzione tra Louis Armstrong e Dizzy Glllespie, quell'anello è Roy.

Norman Granz. Norman invece è un imprenditore col pallino del jazz, tanto che per diffondere il verbo mette in piedi tre case discografiche, la Verve quella che conoscono più o meno tutti.

Billie Holiday. Billie è una cantante e si accompagna spesso con Lester e Roy; tra i tre c'è familiarità e Lester si permette di affibbiarle un nomignolo, Lady Day; da quel momento Billie è Lady Day, punto e basta. Anzi no, perché lei ricambia il nomignolo, Prez; e se per Lady Day tu sei Prez, il presidente, vuol dire che sei il migliore, non c'è storia, perché allora essere il presidente è qualcosa che conta sul serio; mica come oggi, che si appella con deferenza presidenziale il primo pisquano che passa per strada.

L'importante è finire (Mina) ...

… andare a parare da qualche parte, insomma.

Lester finisce con «Laughin' to Keep from Cryin'», che non è tra le sue migliori incisioni – per quelle, rivolgersi ai trascorsi nell'orchestra di Count Basie – però è l'ultima e significa un paio di cose.

La prima è che Prez è Prez, cioè il migliore, e Norman fa di tutto perché lo sappiano pure i sassi, dal film «Jammin' the Blues» alla rassegna Jazz at the Philarmonic, passando attraverso svariati cutting contests, sorta di duelli a colpi di note tra musicisti jazz, «e lì ci sta Lester col suo piccolo e vecchio sassofono tenuto insieme con del nastro adesivo e degli elastici» a sfidare colla sua sensibilità i muscolosi epigoni di Coleman Hawkins; e, se non basta, allora organizza a sue spese due sessioni di registrazione, la prima va a finire su «Going for Myself», la seconda su «Laughin' to Keep from Cryin'».

La seconda è che di amici Lester ne ha pochi ma di superba fatta, e dentro «Laughin' to Keep from Cryin'» ci finisce a suonare Roy, che ci sta sempre quando si tratta di supportare un amico come Lester; e si trascina dietro pure Harry Edison, perché l'unione fa la forza, e in fondo pure Harry ci tiene a Lester, pure lui frequenta sovente quel gruppo cui si accompagna Lady Day, magari il suo rapporto con Lester non è profondo come per Roy, ma di tirarsi indietro non ci pensa proprio; poi non so di preciso quanto sia profondo il rapporto tra Roy e Lester, ma lo scatto che finisce sulla copertina di «Laughin' to Keep from Cryin'» è di quelli che valgono una vita e che non abbisognano di commento.

Dentro ci stanno cinque pezzi – il blues «Salute to Benny» e lo standard «They Can't Take That Away from Me» sul lato a, sul lato b un altro blues tirato ed energico, «Romping», la ballata «Gypsy in my Soul» ed ancora uno standard, «Please Don't talk About Me When I'm Gone» – e a detta di tutti, l'album avrebbe potuto essere migliore (già detto), perché Prez in quelle due giornate non è in gran forma, e, sempre a detta di tutti, si sente, il suo fraseggio è incerto, esitante, fuori fase; per me non ne ho la benché minima idea, ché a malapena sono in grado di riconoscere la supposta mediocrità tecnica di Dee Dee Ramone.

Quando si muore, si muore soli (Fabrizio De Andrè) …

… e Prez muore pochi giorni dopo quelle registrazioni, in un hotel dove alloggia da un po', di fronte al Birdland, un rinomato club che ospita il gotha della musica jazz dell'epoca.

Negli ultimi tempi, la sera prende una sedia e si accomoda davanti alla finestra, imbraccia il sassofono e fa come per suonare ma non suona niente, se non nella sua testa, forse; e se crede di riconoscere qualcuno che entra o esce dal Birdland, si agita e gli rivolge dei gran saluti, ma nessuno se ne accorge.

Una notte, mentre dorme, comincia a muovere le labbra come per suonare il suo sassofono; quando arriva il medico che lo ha in cura, però, è già andato.

Prez goes.

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