Ma cosa sarà mai questo "Far Beyond The Light" firmato Leviathan? L'ultimo sconosciuto Ep di Wrest? Lo split con qualche trascurabile Black Metal band? O Magari un disco della prima band di Chris Barnes? O forse ancora la release dei Leviathan turchi? O di quelli Argentini? Niente di tutto ciò (bastava dirvi che è inciso per la Adipocere records). Tra le migliaia di Leviatani che affollano il mondo del metal, ce n'è anche uno nelle terre di Svezia, dedito ad un Black metal tradizionale e, passatemelo, molto ma molto ma molto superiore a tutti gli altri Hobbesiani mostriciattoli sparpagliati per il mondo.

Premetto che sono un fautore della scuola norvegese e che quella svedese mi fa abbastanza schifo, ma questo disco è pura arte; premettendo che non posso definirmi un vero intenditore, posso affermare con una discreta sicurezza che questo è uno dei migliori dischi Black mai composti insieme a "Transylvanian Hunger" (due dischi comunque abbastanza diversi).

Se le parole "Black svedese" vi fanno venire in mente Marduk e Dark Funeral, dimenticatevi ciò che avete imparato fino a questo momento e prendete come metro di paragone invece gli Shining del primo periodo; costoro, autori di un Black molto particolare che bordeggia il Depressive, sono la fonte principale di ispirazione di questo tizio (ebbene si, nonostante le notizie su internet siano scarsissime e nel booklet non ci sia foto né line up, un sito francese dice che è una one man band) che però, diamogli quel che si merita, migliora di molto il sound degli Shining epurandolo dalle pecche. Per esempio, i sette brani di questo disco (se volete la versione in digipack con la bonus track) non superano mai i sei minuti cosa che li rende immensamente più scorrevoli e meno ripetitivi dei monoliti dei loro connazionali. Tuttavia, mi è impossibile approssimare il sound di Leviathan a quello degli Shining anche se di somiglianze ce ne sono tante: quello di "Far Beyond The Light" non è Depressive Black ma non è nemmeno Raw Black anche se sta più o meno a metà tra i due.

Teoricamente dovrebbe accontentare i fan di entrambi ma sono sicuro che ne rimarranno soddisfatti soprattutto i primi in quanto sul resto prevale un senso insopportabile di dolore e di decadenza. Il riffing, affilato come conviene ad ogni complesso Black che si rispetti, colpisce dritto al cuore, in profondità, dove pochi altri gruppi sanno arrivare: anzi, pur essendo più ricco (sempre di Black si parla, badate bene) di quello dei Darkthrone del suddetto capolavoro, lo può vagamente ricordare anche se una maggiore tecnica strumentale (ripeto che si parla di Black Metal) e una dedizione minore al minimalismo lo rendono infinitamente più maestoso e avvolgente. La sua peculiarità resta in ogni caso la varietà dei riff che spaziano dalle più spietate bordate tipiche del genere ad arpeggi struggenti sempre pronti a ripartire all'assalto: mentre nella quasi totalità dei gruppi Black, siano Raw o Depressive, le canzoni si basano sulla ripetizione di pochi riff, in questo album vengono usate strutture leggermente più complesse. In una canzone sono molti i cambi di tempo e di melodia, il tutto in un susseguirsi molto armonico e ben legato insieme: a tal proposito vorrei menzionare il lavoro di batteria (se è una drum machine vi assicuro che non si sente) il quale, se paragonato ad altre cagate del Black, risulta essere una prova molto tecnica. In verità il nostro come batterista non fa grandi cose (e ci mancherebbe altro, se avesse voluto poteva darsi al Prog!), ma la sua mansione la svolge gran bene dimostrando di sapersi muovere tra piccoli cambi di ritmo e perfino qualche sporadico controtempo. Funzione solo accessoria per il basso del quale, a parte alcuni passaggi, non si avverte nemmeno la presenza; una delle due chitarre infatti lo supplisce alla perfezione. La voce non riserva brutte sorprese, anzi, al sottoscritto è piaciuta molto; non vi immaginate le graffiate di Nocturno Culto o di Ghaal, la voce di questo tizio è uno scream tirato e decisamente tormentato che ben si sposa con le emozioni espresse dal disco.

Resta da capire cosa ci sia di svedese in questo progetto Black svedese: ve lo dico io, la produzione. Ma tranquillizzatevi o voi che concepite un disco Black solo se le chitarre suonano come carta vetro sul portellone del garage perché qui non sfigura di certo: capite anche da soli che produrre in maniera limpida Burzum non avrebbe nessun senso, ma quando si tratta di band un po' meno grezze, un buon miraggio non fa che esaltare il mood. Tanta sofferenza si riceve dalle note di questo disco, tanto odio, una maledizione che cade sulla testa dell'ascoltatore dall'inizio alla fine; niente lieto fine quindi, anzi, un fato avverso che si abbatte con durezza e con un compiacimento autolesionista.

Un album dai colori tragici, un album immancabile per chi ama la nera fiamma e per chi ci si vuole avvicinare: dispiace come sempre che queste uscite passino inosservate di fronte a lavori di qualità ed intensità molto minori. Perché soprattutto l'intensità di questo cd spicca sugli altri; non troverete una sola canzone deludente che vi farà passare a quella dopo, "Far Beyond The Light" è uno di quei dischi che va sentito per intero e che si rivela una strada da percorrere seguendo l'ordine delle canzoni. Salutatelo come un capolavoro Black Metal.

Elenco e tracce

01   A Glorious Time of Eternal Darkness (04:41)

02   Pleased by Your Pain (05:16)

03   Far Beyond the Light (06:25)

04   A Timeless Darkness (05:21)

05   Svart Pulserande Energi (00:34)

06   The Castle Where Emptiness Dwells (06:54)

08   The End (03:43)

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