“Astronomy is the poetry of the heavens.

Questa dichiarazione d’intenti posta all’interno dell’album, è stata la stella polare attraverso la quale si sono orientati i Lightwave per il loro viaggio astrale ai confini dell’universo.

Ispirandosi alla vita ed alla filosofia di Tycho Brahè, astronomo danese vissuto nella seconda metà del XVI secolo, l’ ensemble francese ha tracciato una rotta dove elettronica, ambient, psichedelia e musica da camera coesistono in un flusso sonoro dove la dilatazione dei tempi e le innumerevoli sfumature cosmiche in continuo fermento ed evoluzione, fungono da inesauribili propulsori alla nave interstellare.

Tra le realtà più interessanti degli ultimi venticinque anni per quanto riguarda lo sviluppo della musica elettronica sperimentale (e non solo), i Lightwave hanno saputo dare alla loro navigazione un quid di matericità ed emozionalità che ha reso le galassie esplorate estremamente tangibili e vive. Proprio questa caratteristica è la “segreta bellezza” del disco che, insieme al successivo “Mundus Subterraneus”, rappresenta l’apice della loro carriera.

La “Sirio” dell’album è la colossale “Uraniborg”, che era il nome dell’avveniristico osservatorio astronomico situato su un’isola danese e gestito da Tycho Brahè. Egli oltre a studiare le immense profondità celesti, sicuramente le amò e le sublimi partiture di violino che si fondono con il magma cosmico, sembrano quasi le oscillazioni emotive dell’astronomo danese intento a scrutare le costellazioni ed a immaginare mondi su pianeti lontani.

Proprio i pezzi dove è presente il violino sono, per chi scrive, i più riusciti: la raffinata e spettrale “Cathedral” (quasi una Kosmic-Music da camera) e l’estatica e ascensionale “Apogèe” ne sono esempi brillanti.

Ma il disco vive anche di grandi momenti di purissima musica elettronica: la conciliante “Mapping the Sky” impreziosita da piccole gocce di pianoforte; la glaciale “Fuga Stellarum” dove le stelle pare comunichino tra loro in un linguaggio sconosciuto; la “coloratissima” “Poetics of the Sphere” in cui zampilli d’acqua fontanile vengono screziati da luci di soli e satelliti che non sono di questo mondo.

Menzione a parte per “Tycho on the Moon” (il pezzo più psichedelico) il quale non è altro che un sogno premonitore dell’astrologo che lo vede al pannello di controllo di una futura nave spaziale e per la conclusiva “Hymn for the Guild of Astronomers” dove l’intreccio tra elettronica e un clarinetto turco crea uno stato d’animo di forte presa di coscienza.

L’impasto sonoro dei Lightwave è diventato nel tempo un caposaldo imprescindibile per altri navigatori delle stelle a seguire e anche questa è, in fondo, un’altra correlazione con Tycho Brahè: il suo assistente più importante fu un certo Giovanni Keplero.

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