Ultimo nella serie dei dischi sotto questo nome, Oblivion Access porta all'estremo la formula rap che si è imposta negli ultimi 5 anni, quella per capirsi che si sostiene su basi sbilenche e con un rappato storto e dimesso. Scuola che si può dire nata, credo, correggetemi se sbaglio, ironicamente e come presa in giro, con i primi dischi di Lil B, che muovono dai deliri ignoranti di personaggi abbastanza ignobili come Lil Wayne per poi affilare prima le armi dell'ironia e poi del malessere giovanile anni '10, presenti oggi in centomila rapper che possono vantare anche hit di rilievo.

Ugly Mane parte dagli stessi step, prende il volo tra bandcamp e altri siti indipendenti, propone circa le stesse cose, ma resta sempre sottotraccia nel panorama, anche per un sostanziale fastidio nell'accettare il riconoscimento per quanto raggiunto. Questa, tra le altre, una chiave di lettura per il disco, che come detto rappresenta l'esito più raffinato di questo stile, almeno parlando della produzione del rapper: nel disco le influenze horrorcore della prima parte della produzione sono annegate in una letterale marea di effetti. Bella caratteristica l'utilizzare il rappato come "altro canale del mixer", suscettibile a manipolazioni pesanti e intervallato da sample davvero vari.

Musicalmente siamo dalle parti dei detriti sonori del rap più noise e sperimentale, pensare Oktopus per dire, stralci atmosferici che sposano deliri power electronics, beat glitchati con tanto eco da distruggere qualsiasi parvenza di groove, un immaginario da scantinato ma con un'ottima produzione alle spalle. Sample vocali che sciacquano numerosissimi hi-hat. Formula non nuova, che può piacere ma non più sorprendere, quasi sempre accompagnata da uno svogliato rappare fuori tempo, spleenissimo. E qui lo scarto che rende il disco davvero bello: Lil Ugly Mane irrompe in queste basi sonnolente con decisione e molta rabbia, come lottando contro la melassa experimental della musica, spinto da un'urgenza rara per questi dischi rap stile introspettivo. Il suo flow tagliente, molto bianco, alla Eminem, strappa il brano e crea un contrasto davvero suggestivo. I temi bleak del disco si scontrano con basi omertose e il tutto rovina in una rabbia ironica, ma a suo modo dannatamente seria: "I got bad news/ Nothing really changes/ We just wander aimless". Stato d'animo amarissimo, disillusione profonda che investe lo stesso output dell'artista (come detto questo è l'ultimo disco sotto questo nome, ora lui ha iniziato una nuova collaborazione, purtroppo banalotta), come si può vedere nell'ultimo refrain: "What's it all mean/ What's he saying when he says it?/ What's the underlying topic?/ What's the motive in the message?", malmenato sadicamente da effetti vari. Ma addirittura: "But what if he was bored and there was no between the lines/ It was a way to pass the time, he liked the way it rhymed". Tra presa per il culo e vera sofferenza. Fosse svogliato cadrebbe di brutto nell'autocommiserazione, e invece il tono è incazzato, una vera lotta contro una mancanza di significato che allo stesso tempo viene ammessa – oppure sono io che sovrainterpreto e questo è l'ennesimo disco rap depresso.

Resilient Nihilistic Rap.

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