Dopo il deludente (a mio avviso) "Results may vary" (2003), nutrivo grandi aspettative per quest'album.
Motivo numero 1: il ritorno di Wes Borland (nel precedente sostituito da Mike Smith, ex chitarrista degli Snot).
Motivo numero 2: Ross Robinson alla produzione (avanti, ditemi un album prodotto da Robinson che faccia schifo...).
Ebbene, i Limp Bizkit mi hanno deluso. Innanzitutto: si può mettere solo sette misere canzoni in un album? E' il primo di due dischi, va bene, ma così si passa da una esagerazione all'altra... e poi costasse poco, miseria nera. 17 euro e 50.

Passiamo però ad analizzare le canzoni: si apre con THE PROPAGANDA,il cui riff iniziale si ispira al compianto Dimebag Darrell, anche se appare abbastanza monotono.
Con THE TRUTH i Limp Bizkit copiano chiaramente dai favolosi Rage Against The Machine, la quale risulta, tutto sommato, abbastanza godibile.
THE PRIEST non è malaccia, mentre THE KEY ci riporta ai vecchi cari Limp Bizkit (svegliando così DJ Lethal dal suo stato di coma...) ed, in un certo senso, fa venire un pò di malinconia...
Brutta THE CHANNEL, che stona soprattutto sul piano musicale (ed è l'unica canzone dove il batterista John Otto si fa sentire...).
THE STORY è abbastanza interessante, con un testo che nomina James Bond, Paul McCartney e i Guns n'Roses.
Per concludere arriva la noiosissima THE SURRENDER, ballata in stile Metallica con contrabbasso ed armonica.

"The Unquestionable Truth (part 1)" è una chiara caricatura dei Rage Against The Machine, e nonostante musicalmente, tutto sommato, non ci si può lamentare (il talento di Wes Borland si sente e non si discute), il vero tallone d'Achille della band è il leader dei Limp Bizkit, Fred Durst: in quest'album ha cantato senza carattere ed appare ancora una volta ridicolo di fronte a tutto il mondo del metal. E questa è l'unica verità che i Limp Bizkit ci hanno dato, purtroppo.
Tecnicamente l'album è da 3, ma, essendo rimasto veramente male di fronte a questo album veramente deludente, gli do 2.

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