Nella primavera del 2004 il me stesso 14enne andava declamando, dall'alto del suo non conoscere un assoluto cazzo di niente di musica e del mondo e dell'arroganza tranciante tipica dell'età, che "I LINKIN PARK SONO IL PIÙ GRANDE GRUPPO AL MONDO". All'epoca non avevo gli strumenti neanche per immaginare la portata della mia ignoranza in materia; eppure, col senno di vent'anni dopo, si può dire che forse, involontariamente, non ero poi così distante dalla realtà.

Prima che mi linciate vado a precisare: quando dico "il più grande gruppo al mondo" non intendo certo dal punto di vista artistico (che resterà sempre una cosa soggettiva e opinabile a prescindere), quanto piuttosto in termini di popolarità, di cattura dello spirito del tempo, di essere percepiti dai ragazzini come eccitanti e sulla cresta dell'onda. I Nirvana nel 1992, i Led Zeppelin nel '71, gli Oasis nel '96, i Beatles nel '65: band in grado di fissare punti nel tempo che hanno trasceso la dimensione prettamente musicale e sono entrati nell'immaginario popolare.

Sicuramente i miei sono paragoni campati per aria: i Linkin Park non hanno mai avuto (e mai avranno) né la scorza, né la gavetta, né la caratura artistica di dette band, ma d'altro canto il 2004, in musica, non è il 1971, e per quanto mi sforzi non riesco a pensare ad un'altra band coeva che possa rivaleggiare con loro quanto a fama. Nella primavera 2004 il nu metal, il pop-punk ed il post-grunge avevano già perso il favore del pubblico; la next big thing era quindi il revival garage degli Strokes, che però erano già stati superati dai loro epigoni sgarzolini (Killers, Franz Ferdinand, etc.), i quali a loro volta erano ancora troppo acerbi per ambire a qualsivoglia trono. Escludendo dal resto del panorama rock mainstream i quarantenni ancora piacioni ma ampiamente esauriti (Metallica, U2, RHCP...), la roba troppo di nicchia per sfondare e troppo vecchia per essere ancora rilevante, ed escludendo pure gli odiosi Green Day, la cui resurrezione sarebbe stata imprevedibile prima di altri sei mesi, rimangono giusto due o tre pretendenti al titolo: Blink-182, Foo Fighters, Linkin Park. I primi, tuttavia, avevano già intrapreso la china discendente che dai fasti di un lustro prima li avrebbe portati al burrascoso split, e nonostante le vendite e la popolarità restassero altissime già si intravedeva il loro tramonto; i secondi invece non avevano ancora raggranellato lo sproporzionatissimo consenso unanime che li avrebbe benedetti un decennio dopo (ricordate quando qualsiasi stronzata facesse Dave Grohl i fan urlavano al SANTO SUBITO? Io sì purtroppo), e nonostante qualche singolo efficace non erano riusciti ad azzeccare un singolo album che li consacrasse nell'immaginario collettivo.

I Linkin Park invece sono partiti col botto fin da subito: il primo album li ha rivelati come una formidabile macchina sfornasingoli, il secondo li conferma dotati di una favella che pare inesauribile. La critica li stronca senza fare una grinza, quelli che ne sanno li trattano alla stregua di una boyband, eppure ogni loro pubblicazione spacca le classifiche, i ragazzi impazziscono, MTV li adotta come farebbe una mamma chioccia e spamma i loro (efficacissimi, va detto) videoclip tutto il giorno. Un successo mostruoso, impossibile da spiegare (solo) con i bei faccini e le melodie pop dei ritornelli.

Il fatto è che i Linkin Park sono perfetti per dare voce all'America post-11 settembre, per musicare lo zeitgeist di quell'America confusa, ferita, frustrata e desiderosa di vendetta e riscatto: milioni di americani (e, di riflesso, di occidentali) si ritrovarono nei testi intimisti di Bennington, nella sua voce vulnerabile e nella ferocia delle sue urla scorticate. Un processo di identificazione emotiva spiegabile solo con l'assoluta sincerità di Bennington nel confessarsi, davanti a tutto il mondo, debole e inadeguato: anche prima del suo tragico epilogo bastava ascoltare il modo in cui cantava i suoi testi per fugare ogni dubbio circa la veridicità del suo disagio. Il pubblico se n'è accorto e li ha premiati: non sono moltissime le band con un solo album all'attivo a potersi permettere di pubblicare un disco di remix con produttori di grido.

"PTS.OF.ATHRTY", primo ed unico singolo estratto da Reanimation, è il remix di "Points Of Authority" dal primo album ad opera di Jay Gordon degli Orgy. Gordon innesta sull'originale un esoscheletro cyberpunk che ne aumenta le suggestioni sci-fi pregresse ma gli fa perdere al contempo qualcosa in termini di impatto sonoro. In parole povere, una canzoncina buona giusto nella soundtrack di Quake IV. È il videoclip a fare la differenza. Mi ci imbatto scaricandolo da Limewire (uno dei tanti figli di Napster che negli anni Zero hanno attaccato l'AIDS virtuale a milioni di computer), e ci vado sotto come un eroinomane: nel successivo anno lo rivedo una media di venti volte al giorno. Il video, interamente in computer graphic, è opera del dj della band Joe Hahn: rappresenta una battaglia epica fra eserciti di alieni e robot, questi ultimi comandati dalle teste dei sei Linkin Park dall'interno di un palazzo imbottito di tecnobubbole. È l'apoteosi di tutto quello che andava di moda nella sci-fi all'alba del millennio: dentro ci trovi Unreal Tournament, Warhammer 40.000, Matrix e Animatrix, Evangelion, Armored Core, Starcraft, i prequel di Star Wars e altri duemila nomi circa fra anime e videogiochi. Una magnifica, maestosa torta retrofuturistica per gli occhi, glassata da quell'estetica Y2K asettica e scintillante che nel 2002 era ancora (per poco) perfetta per descrivere il mondo. Il sense of wonder per come lo poteva concepire un tredicenne dell'epoca.

Per me, quel videoclip era fantascienza pura. Non solo, ovvio, per quello che si vedeva su schermo, ma per la sua stessa esistenza: un videoclip tanto devastante, tutto in 3D di ultima generazione, curato così bene, per promuovere una canzone che neanche proveniva da uno dei due album "veri"?? Ma quanto cazzo sono potenti i Linkin Park per potersi permettere una sboronata simile????, ci chiedevamo sbalorditi io e i miei amici.

Alla fine il senso sta tutto in questa domanda di tredicenni ingenui. Il potere, nel mondo della musica pop, risiede fin dalla sua nascita dove gli adolescenti pensano che sia; dove vogliono che sia. A metà degli anni Zero nessun gruppo stava sul tetto del mondo come i Linkin Park.

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