Scorre, spesso dimenticata, la musica italiana, vituperata, squalificata, deprivata di ciò che, al contrario, riesce ad esprimere. Spesso cerchiamo "fuori" quelle emozioni che reputiamo "pure" solo se di provenienza esterofila. Spesso ci dimentichiamo che il nostro modo di sentire è completo; spesso dimentichiamo che le nostre emozioni sono studiate e barattate con mediocri dischi costruiti a tavolino con l'unico scopo di vendere per quel po' che la stagione musicale gli consente. Eppure, in mezzo a questo fermento fatto di abiti sgargianti, look inverosimili, contorni luminescenti realizzati per attirare il palato degli "esteti", c'è chi nell'underground sogna la musica come comunicazione e condivisione. C'è chi non si vergogna di far parte di una delle culture più antiche che il mondo conosca, c'è chi non dimentica le proprie origini "sparite", "offuscate", ma pronte a ritornare a manifestare la grandezza e la poesia, ma anche la frivolezza, che solo chi è in grado di abbracciare "la sua stessa carne" sa fare.
Risorge, così, l'antica città di Segesta, baluardo della Sicilia ellenica... troppe volte distrutta... troppe volte riscoperta. Ma chi è Cannavacciuolo? Ma come si fa a vendere un disco di una persona con un nome così... meridionale e napoletano? Che speranze ha sul mercato? Nessuna? No, non è così. Violinista di talento e musicista favoloso Cannavacciolo milita nell'underground napoletano supportando artisti come Barra, Sepe, De Filippo e via di seguito. Il suo violino vibra entrando in profondità, sposando melodia e tecnica, velocità e amore... quell'amore mediterraneo che solo noi riusciamo a comunicare.
Stilisticamente Segesta è una world music contaminata di elettronica, un incontro di tutto ciò che la cultura musicale del sud riesce a donare. Segesta alterna momenti di rammarico e tristezza a tamurriate impastate di 4/4 roccheggianti, a momenti di assoluta introspezione arrivando a sfiorare orchestrazioni degne di film da oscar (come la meravigliosa Memento) fino a raggiungere un'anima di flamenco mescolata al jazz ed al rock. Si passa molto spesso da movimenti che potrebbero far ricordare il nostro Morricone nazionale fino a sposare la melodia dei Madredeus. In ogni situazione svetta sovrano il "tumultuoso" violino di Cannavacciuolo accompagnato dalle percussioni dell'ottimo De Piscopo e da altri grandi della scena partenopea quale Daniele Sepe.
Il disco si apre con la dolcissima e melanconica "Segesta", invitandoci a seguire l'ecclettico violista nel percorso che ha scelto per noi. La musica scorre lenta con voci appena percettibili, quasi voci liriche che sottolineano i passaggi di violino. Il viaggio alla riscoperta di noi stessi è appena cominciato. "Sa Lughe" fa il verso ai Madredeus e come i Madredeus ti impone il silenzio, quel silenzio che ti meraviglia e che ti prega di isolarti dal mondo disturbante. "Abballabà" è una vera e propria tamurriata che scorre mettendoti il ritmo addosso. Segue il violino elettrificato de "Il Viaggio" che ci richiama prepotentemente alla musica partenopea intrisa di lussuriosi ritmi arabeggianti. "Serapis" scorre fondendo l'elettronica fatta di bassi "appesantiti" e percussioni insistenti con la tradizione araba. Il disco innesca "Memento"... favolosa colonna sonora... per la vita. "Kasba" riprende le tradizioni partenopee fondendole ad un armonioso rock viscerale. Il disco prosegue svelandoci danze popolari (in "Danze"), canto tradizionale napoletano misto a chitarre pizzicate in ritmi vagamente samba e flamenco (nu poco e bbene). "Nanadiè" si svela all'ascoltatore in un clima quasi celtico e riflessivo, sino all'inserimento di percussioni africane. Segesta si chiude con "Las Ramblas", pezzo world con uno spiccato carattere jazz fusion.
Disco per poche persone, questo Segesta... disco che pecca di essere una musica troppo "adulta" per essere ascoltata, troppo italica. Ma una riflessione s'impone forte dopo l'ascolto: Segesta viene riscoperta dagli anni sepolti, c'è sempre stata, sta solo a noi ritrovarla in cuor nostro.
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