Stasera è una di quelle sere in cui ho paura. Ho paura delle cose nuove. Lo so, sono immaturo. Sto crescendo e non mi va (lo dicevano anche i Righeira). Che scazzo... tutti cambiano ma non è detto che migliorino. Tutti a propormi musica nuova... ma il Gnu-metal m'ha rotto, i nuovi gruppetti inglesi non li sopporto, il rock elettronico ormai lo fanno cani e porci, la Lo-Fi l'ha inventata Sid Barret... insomma che cacchio mi sento stasera? Ho bisogno di rock puro... senza compromessi, senza tanti fronzoli, sincero, con una punta di classe, no, niente tamarroni... voglio un rock violento che però strizzi l'occhio al pop altrimenti come faccio a cantarci dietro? Ho bisogno di urlare, di sentirmi vivo... ecco vivo... LIVE!

LIVE - THROWING COPPER! Sono 11 anni che sei nella mia cameretta e sei ancora così bello! Smack!
Quanto lo adoravo sto disco! E qui su DeBaser nessuno ne parla!?!? Pazzi maniaci!
I LIVE, sono una band della Pennsylvania che venne fuori con un debutto interessante ("Mental Jewelry" datato 1991), e che nel 1994 pubblicò questo sorprendente album.
Dunque, il 1994 dicevamo, un'annata spettacolare, piena di grandi dischi, una vendemmia veramente generosa: SUPERUNKNOW dei SOUNDGARDEN, VITALOGY dei PEARL JAM, GRACE di JEFF BUCKLEY, THE DOWNWARD SPIRAL dei NINE INCH NAILS, MELLOW GOLD di BECK, GEEK THE GIRL di LISA GERMANO, DUMMY dei PORTISHED, NO NEED TO ARGUE dei CRANBERRIES, il primo dei KORN... (cacchio quanti grandi dischi in anno, ma vi rendete conto?!?!)... Tutto questo, per capire in che epoca ci trovavamo e per ragionare sul fatto che far uscire un disco 11 anni fa e fare belle canzoni era molto più difficile e forse più stimolante di ora.
I LIVE riuscirono nell'impresa di mescolare le meccaniche del cantautore melodico con le sfumature prog-rock, condite con una spruzzata di neo-folkrock, shakerando il tutto con un po' di furberia grunge degli anni '90. Ai REM chiedono in prestito e stuprano canzoni pop-rock perfette come la diretta "Selling The Drama" (singolo spaccaradio che tutti credevano fosse veramente dei REM!), la commovente "Lightning Crashes" (piena di pathos Springsteeniano, dedicata ad una certa Barbara, morta a 20 anni in un incidente stradale) e la movimentata "Shit Towne" ("Città di merda" dedicata alla loro cara cittadina).
Ma non lasciatevi ingannare dal timbro alla Micheal Stipe di Ed Kowalczyk: semmai il suo canto intriso di passione è più vicino a quello di Eddie Vedder prima maniera ma senza raucedine (la stupenda "I Alone" sembra venuta fuori da "VS."). I Live sanno si fregare qualcosina d'interessante a tutti i grandi maestri dell'alternative-power-folk, ma nello stesso tempo sono bravissimi a sganciarsi da qualsiasi cliché che incapsula i gruppi di allora. Ancora si avvertono echi influenzali heavymetal e hard-rock ("Stage" e "Waitress"), ma il gruppo è un fuoriclasse da aera di rigore nelle ballad sporche.
Il chitarrista Chad Taylor è un artigiano dello strumento: un virtuoso a modo suo che ci regala un unico assolo degno di questo nome in tutto il disco (è nel finale fragoroso di "White, Discussion"), ma nonostante ciò ha imparato a memoria tutti i trucchi di The Edge e distende il tappeto sonoro schitarrosando con i vari delay, feedback e noise a manetta tanto astutamente da non farcene sentire assolutamente la mancanza (degli assoli)! D'altronde con un bassista fantasmagorico come Pat Dahlheimer, il gruppo può permettersi di giocare un po' con la ritmica come pochi. Ed Kowalczyk è un gran cantante ma soprattutto un ottimo interprete. I suoi testi sempre impegnati e sopra la media non mancano di denuncia sociale e di poesia intimista.

Disinvolti, i LIVE si permettono di guardare avanti con il brano d'apertura ("The Dam At Otter Creek") sperimentando voci distorte e iperfiltrate, e poi a metà disco strambamente ci prendono in giro e classicheggiano arrangiando la melodia di "All Over You" fino a trasformarla in un madrigale! Anche se una delle mie preferite rimane la tiratissima "Iris" (con il batterista Chad Gracey costretto agli straordinari), il pezzo che innegabilmente vale l'acquisto (o il download) del disco è la criptica "Pillar of Davidson": con quel basso che regolarmente scandisce l'inzio di ogni strofa, con quel bridge maligno che vuoi sussussare (Oh bad eyes... almighty fear) anche se vorresti già cantare quel ritornello che non sai di non esser in grado di cantare ma che canti lo stesso perché ti viene fuori dal cuore (The sheperd won't leave me alone, he's in my face and I want you here by my heart...). Quel ritornello, bastardo di un bastardo ti rimane in testa per tutta la fine del disco e ti costringe a premere il tasto "play" ancora sulla traccia n°12 per altre 3-4 volte.

No, per favore non mi dite che i LIVE sono solo i REM più incazzati perché con tutto il rispetto che ho per Stipe, sono convinto che Michael non potrebbe mai cantare così e che i REM non potrebbero mai suonare così.
Che bel tuffo nel passato... mi ci voleva, mi sento meglio, mi sento VIVO.

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