Ella Marija Lani Yelich-O'Connor, in arte Lorde (1996), è giunta al secondo album in carriera. Il successo planetario del disco d’esordio Pure Heroine, uscito nel 2013 e trainato dal singolo "Royals", la rese, ancora diciassettenne, una delle più famose ed apprezzate pop star al mondo (celebre, in proposito, l’endorsement di David Bowie, che definì la giovane artista come “il futuro della musica”). Il nuovo Melodrama, descritto dall’autrice come “un disco che riguarda l’essere soli, con i suoi pro e contro”, parrebbe ispirato alla separazione di Lorde dal compagno, avvenuta a fine 2015. Scritto e prodotto con la stretta collaborazione di Jack Antonoff, chitarrista dei Fun e già co-autore per Taylor Swift, il disco ha debuttato in prima posizione nella Billboard Top 200.

Nel 2013, all’interno di un pop da classifica sempre più dominato da produzioni massimali, la sobria eleganza art-pop di "Royals" rappresentò a suo modo una piccola e genuina rivoluzione, oltre che il primo esempio del precoce talento di Lorde. "Green Light", uscita a marzo di quest’anno e primo singolo estratto dal nuovo album, ha segnato invece un radicale cambio di rotta: strofa dall'incedere incalzante, uno stacco per approdare ad un bridge arioso, guidato da un piano aerodinamico, ed infine il corale e liberatorio ritornello, accompagnato da percussioni tribali e cantato con catartico trasporto; un po’ una sintesi del "melodramma" musicale che Lorde mette in scena per questo nuovo disco, una teatrale e sentimentale opera electro-pop dove gli undici brani che la compongono, legati l’un l’altro da un disegno artistico preciso, vedono un sapiente alternarsi di episodi più riflessivi con altri più esplosivi e danzerecci, nel tentativo di non incappare in cali di tensione nella performance, oltre che di attenzione da parte dell’ascoltatore. Da evidenziare, infine, è l’alto livello raggiunto da Lorde come paroliera, autrice di testi senza dubbio accessibili, eppure in qualche modo obliqui, vagamente allucinati e a tratti "maledetti", tanto da renderla un’eccezione ed un’eccellenza tra le popstar contemporanee.


Melodrama non segna tanto una prova di maggiore personalità, qualità che a Lorde non è mai mancata, quanto piuttosto un approdo importante nel percorso verso la piena libertà artistica e creativa, verso la totale espressione di sé. Si tratta pur sempre di un lavoro destinato a vendere, frutto di investimenti artistici ed economici non trascurabili, eppure rappresenta un esperimento a suo modo coraggioso, dissonante dal resto del pop mainstream. Del resto, stiamo parlando di una musicista dagli ascolti non scontati (Graceland di Paul Simon è stato citato come una grande influenza su questo lavoro) e vicina al meglio del cantautorato "alt" (nel 2014 reinterpretò "Ladder Song" dei Bright Eyes); è forse naturale, allora, che la musica di Lorde si presenti come una mediazione tra le due tendenze, quella popolare e quella alternativa, un possibile punto d’incontro tra il pop spudoratamente orecchiabile dell’ultima Taylor Swift e il melodramma, quello vero e malato, di FKA Twigs.

E così, se è vero che diversi brani aderiscono alla medesima formula, quella alla lunga un po’ deleteria e che prevede un climax ascendente per poi giungere ad esplosivo motivo centrale, Melodrama esibisce comunque una serie di dimostrazioni su quanto sia cristallino ed unico il talento pop di Lorde. La grandiosità di alcune melodie, innanzitutto, non solo nella micidiale "Green Light", ma anche in brani come "Homemade Dynamite", zoppicante e sensuale, e "Perfect Places", elegante e decisa. L’acume e la poetica dei testi di cui prima risaltano nelle canzoni appena citate, oltre che nella piano-voce "Liability" e soprattutto nella sua rielaborazione dream-pop "Liability (reprise)", entrambe riguardanti il tema della solitudine, l’infausta seconda faccia del successo. Gli arrangiamenti dei pezzi sono dinamici, oscuri, suadenti, e rendono al meglio in "Hard Feelings / Loveless", la canzone migliore del disco, intensa suite dance-pop che alterna cori gospel electo-soul, synth dronici e melodie zuccherose. In tutte le canzoni affiora il tema - dominante nel concept del disco - della festa come momento di evasione, occasione di fuga verso i “perfect places” che danno il nome alla traccia conclusiva. Ma “where the fuck are perfect places, anyway?”, canta dubbiosa la neozelandese; il disco si conclude, la ricerca della risposta spetta a noi.

Traendo le conclusioni, di certo Melodrama è l’album di un'artista ormai privilegiata, che già ce l’ha fatta e continuamente è seguita da chi si adopera per mantenerla ai vertici dello stardom; non per questo, però, è un lavoro scontato, ma anzi rappresenta un’opera ispirata e piena di spunti interessanti, in grado di piacere ad un pubblico ampio e trasversale. Lorde non sarà probabilmente il futuro della musica come qualcuno profetizzava, ma è senza dubbio una musicista da tenere d’occhio e nella quale riponiamo le nostre speranze per una carriera costantemente ad ottimi livelli.

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