Nella seconda metà degli anni '50 il mondo del Jazz era rimasto orfano di una figura fondamentale come quella di Clifford Brown, morto in un incidente stradale nell'estate del 1956. Quando un punto di riferimento viene a mancare, dopo i primi tempi in cui la commozione generale porta a dire cose del tipo "resterà unico, non ci sarà più nessuno come lui", non si aspetta più di tanto per attribuirgli eredi veri o presunti tali.

Ora non so se Tommy Flanagan avesse ragione quando diceva "the next Clifford Brown" parlando di Smith, anche perchè questa figura "oscura" della tromba Jazz, per via delle circostanze più disparate, purtroppo non è mai riuscita ad imporsi. Questo però non ha certamente impedito anche a lui di ritagliarsi quel piccolo posticino nella storia del Jazz, e molto del merito va sicuramente al suo disco d'esordio, ovvero "Here Comes Louis Smith".

I personaggi arruolati per il disco sono di indiscussa qualita: Cannonball Adderley al contralto (accreditato come "Buckshot la Funke" per ovvi problemi contrattuali), Doug Watkins al contrabbasso, Art Taylor alla batteria e Duke Jordan e Tommy Flanagan a dividersi le sessioni al piano. Tornando a Clifford Brown, personaggio sicuramente ricorrente nella genesi concettuale e musicale del disco, il primo pezzo del disco è a lui dedicato: tutti conoscono "I Rembember Clifford", famosa e struggente ballad di Benny Golson dedicata allo sfortunato trombettista; ma in quegli anni un altro tributo musicale di pregevole fattura era stato scritto in suo onore, ovvero quella "Tribute to Brownie" scritta dal grande Duke Pearson (da altre parti sarà accreditato come co-autore Nat Adderley) e che Cannonball in quei giorni delle sessions del disco di Smith nel febbraio del 1957, stava registrando anche per il suo "Sophisticated Swing". Il pezzo è sicuramente il punto forte del disco: ha un'armonia stupenda, il fraseggio di Cannonball è limpido, spumeggiante, senza sbavature nè incertezze. La qualità tecnica messa in campo nel tema da Smith e Adderlay è puro spettacolo, con un contracanto perfettettamente plasmato con le dinamiche armoniche create dal piano di Jordan e dal duo Watkins-Taylor al contrabbasso e batteria.

Sarà cinico, ma senza la morte di Brown forse il Jazz riusciva a tenersi stretto il futuro e indiscusso campione degli anni a venire, tuttavia probabilmente non ci sarebbe stato il trasporto emotivo adatto per scrivere pezzi come questo oppure come quello di Golson. Parole al vento, che lasciano il tempo che trovano. Tornando al disco, gli standard tecnico-compositivi rimangono comunque ad alti livelli, nonostante il picco è toccato appunto con "Tributo to Brownie": ad esempio nella seconda traccia, "Brill's Blues", un bel Blues scritto da Smith e che gioca col tempo mid & slow, i due riescono a riversarci dentro tutta quella magnifica valanga nera in arrivo direttamente dal loro essere blacky. Come è facile intuire, molto Bop farà capolino tra le trame del disco, come nel caso di "Ande" ad esempio, scritta sempre da Smith e ulteriore testimonianza dell'affiatamento tecnico dei due professori (anche Smith, come Cannonball, è stato insegnante). Non c'è buon disco senza una ballad a rappresentare quel rilassato sospiro che consente di tirare il fiato dopo essere andati spediti, ed ecco quindi arrivare una sentita versione di "Star Dust", in cui Smith da' prova del sentimento di cui era capace un "vertiginoso" della tromba come lui. Gli ultimi due pezzi, "South Side", un inno all'Hard Bop, e "Val's Blues", un inno al Bop, sempre opera di Smith, chiudono questo piccolo gioiello rimasto ingiustamente in ombra. Ora non so se sia stato il prossimo Clifford Brown, forse no, però a me me piace.

Compratelo senza indugi, costa pure poco.

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