Il 5 Ottobre appena passato, i Low hanno dato prova della loro pregnante essenzialità, dono di poche band ad oggi sopravvissute, al Teatro dal Verme di Milano, unica tappa italiana del loro tour a supporto dell’album “Double Negative”.

Di una armoniosità, e allo stesso tempo di una irruenza incredibili, come ci insegna attraverso gli album in studio, la band di Duluth (città natale di Bob Dylan) ha fedelmente eseguito, dal vivo, le tracce in studio, senza risultare fredda, ma piuttosto riuscendo ad emozionare e ad emozionarsi. Il calore del pubblico ne è stato una naturale conseguenza: il clima di intimità e di energia unite insieme hanno permesso una vicendevole empatia, che la musica dei Low cerca da sempre, attraverso una sintesi lirica, che – come qualcuno ha detto – è “più ascetica che minimale”.

Dopo aver aperto con “Quorum” (da “Double Negative”), in maniera, a mio parere, timida, i Low assestano il primo colpo con “No Comprende” (da “Ones and Sixes”, del 2015); segue uno dei momenti più leggeri, più pop, della produzione della band, “Plastic Cup” (che, però, beneficia di un testo provocatorio, che sfida, forse, l’ascoltatore a scrivere lui stesso una “dannata canzone”). Come in un’alternanza geometrica, il quarto (pari) pezzo, “The Innocents” (sempre da “Ones and Sixes”) rialza il tiro. È da qui che il concerto si fa più intenso, più solido. “Tempest” assume una veste più umana (in “Double Negative è tutta noise, cacofonia e claustrofobia), come molti altri brani dallo stesso album.

In sede live, ho potuto apprezzare diverse canzoni che, essendo, su disco, troppo elettroniche e opprimenti, a tal punto da sembrare vuote, non mi avevano particolarmente colpito inizialmente. Sento, comunque, il bisogno di dare un nuovo ascolto alla loro ultima fatica.

Il tritticoDo You Know How To Waltz/Lazy/Always Trying to Work It Out”, eseguito come in un medley, ha rappresentato il punto più alto dell’evento. L’attimo in cui Alan Sparhawk (chitarra e voce) e Mimi Parker (batteria e voce), rispettivamente marito e moglie, hanno intonato “It’s not enough, it’s not enough, there’s not enough for two”, è stato assolutamente sublime, e ha compendiato il senso e la magia che stanno dietro il nome e progetto Low.

19 brani + doppio bis (Alan Sparhawk, artista e uomo di una umiltà e di una espressività uniche, a fine concerto, ha riservato un trattamento speciale al pubblico italiano, annunciando due bis, anziché uno solo, per ringraziare l’incredibile feedback dimostrato) hanno costituito un concerto che splendido è dir poco.

Tre musicisti grandiosi (Steve Garrington compreso, finora per nulla celebrato dal sottoscritto, a torto, perché le sue linee di basso sono state molto presenti e vitali per la costruzione delle atmosfere) , un allestimento ridotto all’osso, con la strumentazione a bordo palco, e, dietro, una scenografia spoglia: nessun orpello. Naturalmente le luci ci sono state, a enfatizzare alcuni momenti, ma mai ho avuto la sensazione che stessero esagerando, che la band avesse qualche velleità.

PS. Nadine Khouri, artista che ha aperto la serata, ha incantato il Teatro con il suo songwriting soave e tormentato, e la sua voce che, a tratti, al sottoscritto, ha ricordato la pacata disperazione (“quiet desperation”) di Nick Drake. Vi consiglio di prestarle un orecchio (anche due).

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