Come un rito che si ripete, senza che venga, però, intaccato il fulgore originale, per il pubblico italiano si è ripresentata l’occasione (anzi, tre!), in questa nuova stagione, di incontrare e ascoltare i tre cuori pulsanti del Minnesota, che passano sotto il nome di Low.
In realtà, non si è trattato che di un prolungamento della stessa stagione, e non di una seconda manche, essendo le date legate a uno stesso tour, a supporto dell’ultima fatica discografica della band “capitanata” da Alan Sparhawk: “Double Negative”, un disco apprezzatissimo dalla critica e dai fan, che, però, al sottoscritto risulta più toccante ed efficace live rispetto alla resa in studio, soffocata dall’elettronica-noise eccessivamente trattata.

Dal vivo, la forza dei Low sta nel loro bruciare, in un’ora e mezza (se non meno), come una fiamma, che danza a tratti sinuosamente, a tratti violentemente, per poi rinascere, la sera successiva, dalle ceneri, come una fenice: una fenice a tre teste, in questo caso. Non che io abbia potuto assistere a tutte le esibizioni (perlomeno quelle italiane), ma lo deduco dai due “incontri” che ho avuto con loro. Come un ottobre fa (al Teatro dal Verme di Milano), i Low hanno dato prova di grande integrità e, al contempo, di fragilità, connubio perfetto di menti e di cuori quali sono.

La Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, a Roma – la sera dell’8 aprile appena passato –, ha ospitato un ammaliante sabba di note e di immagini, che, per il sottoscritto, non aveva precedenti.
A Milano il palco era totalmente spoglio, mentre, nell’Urbe, la band ha voluto, alle proprie spalle, tre alti pannelli video sui quali, mentre gli strumenti tessevano il loro essenziale arabesco, scorrevano suggestive immagini evocanti lo spirito delle canzoni: degli alberi (in “Quorum”, pezzo che apre, in maniera fissa, tutti i concerti del “Double Negative Tour”), e poi un occhio, una fiamma, un orologio, una ballerina, delle rotaie, delle montagne, delle lapidi, ecc.
Inoltre, questa volta, non hanno avuto una band/un artista come spalla (a Milano li aveva preceduti la giovane cantautrice libanese Nadine Khouri), ma hanno iniziato il loro set appena quindici minuti dopo l’orario di partenza (le 21:00), senza mediazioni.
Un’altra differenza sta nel fatto che, nonostante ci sia stato il bis, la durata complessiva del concerto è stata inferiore alle mie aspettative: meno frecce nella faretra.

Peròc’è un però! La scaletta ha presentato qualche variazione interessante: alcune canzoni sono state presentate in ordine diverso (es. “Always Up”, “No Comprende” e “Holy Ghost”), alcune sono state aggiunte (es. “What Part of Me”, da “Ones and Sixes” del 2015, ed “Especially Me”, da “C’Mon” del 2011), a discapito di altre (es. “The Innocents”, sempre da “Ones and Sixes”, e “Dragonfly”, da “Drums and Guns” del 2007).
È rimasta, fortunatamente, l’incandescenteDo You Know How To Waltz?”, culminante, come in un medley, con “Lazy”, dal primo capolavoro della band, uno dei miei tre album preferiti degli anni Novanta: “I Could Live in Hope”, del ‘94.

Mimi Parker, cantante e batterista, moglie di Sparhawk, ha rappresentato, ieri come l’altroieri, un anno fa come venticinque anni fa, il battito: è lei a dare la spinta propulsiva, a creare, insieme al bassista, Steve Garrington, l’ossatura delle canzoni, divise tra dolcezza infantile e violenza ancestrale, completate dalle corde, pizzicate o percosse dal marito. Per i Low, la Parker significa quello che significava Maureen Tucker per i Velvet Underground, ai quali i tre di Duluth spesso rimandano, a livello di rumorismo e della suddetta alternanza di dolcezza e perentorietà (“Drella”, soprannome di Andy Warhol, risultato della fusione di Dracula e Cinderella, esemplifica il tutto).

Nonostante non abbia fatto sold-out in tutte le date italiane (solo a Bologna, il 6 aprile), il trio ha raccolto molto pubblico, e questo ha risposto bene all’energiapositiva” (e sembra un ossimoro, sulla carta!) trasmessa dalle loro corde (vocali, di basso di chitarra) e dalle loro pelli (di batteria). Talmente bene che, come è successo a Milano lo scorso autunno, a Roma la band ha concesso un intenso bis, come premio del grande calore riscontrato da noi spettatori. Stranamente, nelle due precedenti date, (a Padova e a Bologna) – da quel che emerge dal sito www.setlist.fm – la band ha suonato meno canzoni. Sarà stato, forse, il pubblico un po’ freddino? Forse in ogni platea ci vuole uno come il sottoscritto a fare da “urlatore”, da supporto, da groupie. Fatto sta che ho avuto il privilegio di gustarmi entrambi i bis che i Low hanno concesso in questo biennio 2018-2019.

Nonostante la prima volta rimanga sempre la prima volta, a questo giro ho ritrovato l’energia di cui avevo bisogno, e che sapevo non sarebbe mancata da parte della band, che vi consiglio di andare a vedere finche è possibile.
Li andrei a vedere di nuovo? Mi spingerei fino a Roma o a Milano per “provarli” una terza volta? Forse no … ma, nel mio cuore e nella mia mente, i ricordi, indelebili, e le esperienze rivissute nel mio immaginario, rimangono, e rimarranno sempre.

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