Può un concerto visto essere diverso da uno ascoltato in disco? Può esserlo o può sembrarlo? Dove stanno, esattamente, i confini...?

Quanto può esser grande la soggettività, l'emozione del momento, il ricordo personale, il legame tra le cose belle vissute e quelle bellissime ascoltate?

Insomma, cari miei...alla fine della fiera, quanto può essere realmente attendibile il nostro povero giudizio...?

Ne ho già scritto (e non ripeto): agli Arcimboldi ho goduto come un matto. Ho vissuto quel passato che siccome è già passato si crede non ci sia più...e invece te lo ritrovi bello lì. Sgangherato ed algido al contempo, organizzatissimo ed improvvisato.

Ed ora esce il disco. Lo aspettavo. Lo volevo. L'ho ascoltato.

Ho goduto. sì...ma un bel po' meno.

Colpa mia? Qualcosa è andata storta?

La cantautoral ciambella, amici miei, non è venuta col suo bel buco, e questa è l'amara, ma non del tutto disperante, realtà.

Non del tutto disperante perché quello che si sente in questo disco è un concerto vero, sentito, vecchio e giovanissimo. Perché la musica traversa pagine tra le più belle della letteratura musicale del nostro Paese del secondo novecento. Perché loro due sono ancora comunque grandissimi (delle differenze parleremo...).

E perché le tre tracce inedite sono una più bella dell'altra, così com'è splendida la versione in studio di "Generale" (...perché in studio?...).

E allora cosa non va...? Su tutto, purtroppo, la voce di Lucio Dalla. Ed ho il cuore grondante sangue, solo a pensarlo, figuriamoci a scriverlo. Ma il nostro (fu?) grande Lucio non canta più bene. È sempre vagamente calante, incerto. L' "attacco", la sua caratteristica più battagliera, più morsicante, quella nota che un tempo era una fucilata, ora è una cosina malferma e maltenuta... Insomma, c'è il timbro (a tratti per quello quasi non riconoscibile, ma diciamo che c'è, dai...), ma il resto è volato via.

Nessuno che abbia scritto di questo tour o di questo disco mi risulta averlo notato, ma a mio avviso la cosa è tanto evidente quanto tristemente imbarazzante. Così come gli arrangiamenti, dove il Dalla della decadenza ha senz'altro preso potere oltremodo, con coretti inutili, stupidi e barocchi, ed altrettanto inutili e smascherabilissime furberie. Ad arrangiare la loro prima avventura (l'immortale capolavoro del '79, "Banana Republic") c'erano Ron (Ron di allora...) e gli Stadio (in quanto ad arrangiamenti, gli Stadio di sempre...). Ed era tutta un'altra cosa.

E poi il tutto è gravato (già lo notai agli Arcimboldi) da un batterista scolastico, tempista, bravino...sì, ma totalmente senz'anima. Uno non dico in grado di farti saltellare, ma probabilmente neanche di farti muovere il proverbial piedino. E così è, in fondo, un po' tutta la band, quasi si sia voluto creare uno iato, un contrasto violento tra la fantasia dei protagonisti e la statica, scolastica e bravina immobilità delle basi (c'è, in questo, indubbiamente lo zampino di Dalla, che man mano che perdeva talento e genio, negli anni, cresceva in quanto a barocchismi e secchionici precisinismi...).

Insomma: pensate cosa poteva essere questo disco con una "jazz band" tipo la prima di Conte, che poi è l'eterna del Guccio (i vari Tavolazzi, Tempera, Bandini, Marangolo, ecc..., per parlare di vecchi...ma se ne trovano anche di giovani, bravissimi...).

Insomma: un disco storico, di un evento storico, che è storicamente condannato a uno stato di perenne imperfezione.

Poteva essere la prova che il cantautorato è stato grandissimo, ed è vivo.

È purtroppo la prova che il cantautorato è stato grandissimo, forse persino più grande di quanto abbiamo immaginato. Ma è indubbiamente defunto.

A provarlo, tra le altre cose, stanno lì quelle seconde voci, quelle "terze da osteria", che son tanto belle, sì, ma quando si fan cenasse con gli amici e, ad un certo punto, qualcuno "esce" la chitarra...

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