Gli anni '90 hanno segnato la rinascita del prog, questo lo sappiamo tutti noi che amiamo il genere... ma in questa fase di rinascita sono compresi anche parecchi gruppi che non hanno raccolto l'attenzione che avrebbero meritato.

I Magellan, duo formato dai fratelli Gardner, rientrano sicuramente fra questi "sfortunati". Sebbene genericamente etichettati come band progressive essi hanno saputo andare oltre questa definizione e si presentano come una band decisamente creativa ed imprevedibile, dimostratasi capace di spaziare con grande classe dal prog al metal, dalle influenze tribali a quelle eighties, passando per quelle funky e jazz, magari mescolandole in maniera apparentemente inconciliabile e bizzarra. Tutto questo senza mai seguire uno stile in particolare, il che è un gran pregio (in fondo dove sta scritto che uno debba suonare un solo genere?). Peccato che pochi se ne siano accorti. Avevo già recensito l'incredibile "Test Of Wills", apice del loro eclettismo e della loro fantasia, ma mi pare doveroso fare un salto indietro e parlare di un altro capolavoro sottovalutato: "Impending Ascension"!

Gli inizi di questa band (parlasi di primi due album) sono stati di marca notevolmente tastieristica, con le tastiere invadenti e assolute protagoniste, ma nel loro essere marcatamente keys-oriented mostravano già una notevole dose di fantasia, già nel debut "Hour Of Restoration" ma soprattutto, in maniera incredibile, in questo secondo lavoro. Una tastiera così varia, pazza e spregiudicata non l'ho mai sentita, assistiamo davvero ad un'incredibile varietà di suoni e di soluzioni. L'invadenza di tale strumento può ricordare da vicino alcune produzioni anni '80, i suoni sembrano pure ricordare quelli di tale periodo ma ad essi ne sono accostati altri, come ad esempio suoni tribali, orchestrali, di pianoforte, di organo, ecc... Insomma, non si sa mai cosa ci si aspetta! E anche dal punto di vista dell'esecuzione tutto è davvero impeccabile! Notevole è la dose di virtuosismo, nonché il numero di complesse scale e lunghi fraseggi; un paragone con i maestri Keith Emerson, Rick Wakeman e Jordan Rudess non risulta essere così esagerato! Ma se la tastiera è protagonista a volte bisogna aspettarsi e quindi accettare lo scarso peso di altri strumenti: la chitarra infatti trova poco spazio, rimane più in sottofondo, anche se a volte sfocia nel metal; la batteria è invece campionata e se non sbaglio pure il basso, il che potrebbe sembrare un difetto ma in realtà ciò contribuisce a creare un'atmosfera funky-pop ottantiana molto affascinante.

Facendo una panoramica sulle 7 tracce troviamo tre brani che superano gli undici minuti: "Estadium Nacional" è un brano incredibile, estremamente vario e trascinante, e riesce a spaziare da atmosfere tribali e "piratesche" a sonorità ottantiane fino a ritornelli quasi dance e vi è pure un potente intermezzo metal... ma altrettanto incredibile e travolgente come un vortice è "Storms And Mutiny" e nemmeno "Waterfront Weirdos" scherza. Troviamo poi due brani attorno ai 5 minuti: "Virtual Reality" ma soprattutto la più guitar-oriented "Songsmith", con il suo simpatico hard rock trascinato da ritmica funky. E troviamo pure due notevoli "branetti" di brevissima durata: la strumentale "No Time For Words", con un ancora notevole lavoro di synth, con suoni che potrebbero ricordare da vicino una "Tank" di Emerson Lake & Palmer; e la conclusiva "Under The Wire" con il suo particolare industrial metal.

In conclusione ci troviamo di fronte un disco ricco negli arrangiamenti ed estremamente creativo. Penso che un aspirante tastierista debba assolutamente ascoltare questo lavoro per la sua incredibile varietà offerta... ma anche a chi non crede nel proseguo del prog dopo la fase storica questo disco farebbe bene. Gli anni '90 non sempre si sono limitati a riprendere quanto già fatto dai maestri del genere e band come i Magellan lo dimostrano. Sarebbe un peccato lasciare questi nomi nel dimenticatoio!

Carico i commenti... con calma