Io oooodio ...!

Io odio me stesso!

Magari esagero un po’, diciamo che non mi sopporto più, ecco. Questo si. E più passa il tempo più trovo insopportabile ciò che di me non sopporto.

È una sensazione strana, è come avere due livelli di me stesso. Uno che si astrae dal reale e passa il tempo ad irritarsi per quel che fa l’altro, ciò che rimane sulla terra in seguito all’operazione di astrazione, e a bacchettarlo senza pietà. Probabilmente è anche una situazione un po’ malata. Ma non vado mai troppo a fondo in questa direzione con l’autoanalisi. Mi fa un po’ paura il pozzo nero in cui mi toccherebbe immergermi, e poi ho come la sensazione che ne uscirei conciato malissimo.

I miei piedi.

Odio i miei piedi!

Protuberanze bislunghe che si estendono ben oltre l’idea che il mio cervello si è fatto di loro. Li odio perché sono i miei piedi lo strumento preferito dalla mia goffaggine per manifestarsi nel mondo. Mi capita spesso di inciampare in oggetti, piedi o garretti di altre persone che con la mente avevo calcolato di scansare con un bel po’ di margine. Mi capita a volte di trascinarmi a presso tappeti, tavolini, e quando mi dice veramente male, di rovesciare per terra cose che per nulla al mondo avrei dovuto rovesciare, o di calpestare alluci e calli che mi sarei dovuto guardare bene dal calpestare.

Odio i negozi di scarpe!

Odio i negozianti dei negozi di scarpe!

Donne!

Nella maggior parte dei casi si tratta di donne!

Donne avvizzite e acide, per la precisione, capaci di una flemma esasperante per uno che vuole sbrigare la pratica il più in fretta possibile. È questo il quadretto nel negoziante tipo di negozio di scarpe che ho in testa, ce lo hanno ficcato dentro decine e decine di passate esperienze poco piacevoli.

“Buon giorno signora, mi piace un modello che ho visto in vetrina, quello nero in alto sulla sinistra, lo vede? Si, brava, quello li! Porto il quarantacinque.”

“a si ho capito, è molto bello in effetti, mi ha detto che porta il quarantacinque, vero?”

E a questo punto il copione di solito prevede che entri in gioco la flemma esasperante di cui dicevo, se ne arma la negoziante per controllare una ad una un gruppo di scatole dello stesso tipo ordinate su varie pile, in cui lei sa già non esserci il numero che le ho detto.

“Il quarantacinque ha detto?, uhmmm, è un bel piede il suo!...”.

Maledetta!

“… mi spiace, ho paura di non averne più di quel numero. Eh già, non ne ho proprio più.”.

Mai! Mai, che mi sia capitato di trovare il mio numero di un modello di scarpa che mi va a genio in quei dannati negozi. Poi arriva l’ultima parte del copione, che difficilmente mi viene risparmiata. La più odiosa. Quella che mi ricorda, nel caso fossi riuscito a non pensarci più, che noi popolo calzante numeri importanti veniamo considerati dal mondo delle calzature dei fenomeni da circo.

“Con quel numero mi sono rimasti questi modelli qua, vede? Sono molto belli anche questi, magari c’è qualcosa che le può interessare.”

Sono belli le palle, vecchia megera! Tutta roba bruttissima, fatta apposta per esasperare alla vista la già insopportabile lunghezza dei miei piedi. Ma dico io, se voglio un paio di scarpe dove devo andare, dal gommista?

Odio i fabbricatori di scarpe!

Li odio perché se i modelli che mi vanno bene sono così orrendi è colpa loro. C’è da giurarci che si siano messi d’accordo per utilizzare le persone con piedi bislunghi come cavie per le loro sperimentazioni più ardite su forme e colori.

Ma più della mia goffaggine odio la mia misantropia.

Probabilmente questa mia caratteristica è quella che maggiormente mi porta pena nella vita. Aziona contemporaneamente tutte le mie contraddizioni. È come fosse un vortice da cui è difficile uscirne. Le sue spire sono come una gabbia soffocante che serra la mia mente, a volte riesco a risalire un po’, altre volte mi trascinano più a fondo.

Odio la folla!

Non sopporto stare in luoghi affollati, in quelle situazioni la gente mi sta sull’anima più mai, e quando mi sorprendo ad odiare la gente mi do ai nervi da solo. Quante volte ho mandato al diavolo il mondo intero per poi trovarmi subito dopo a dirigere verso me stesso tutto il rancore che provavo contro il mondo, perché mi realizzavo che in fin dei conti quello che sarebbe dovuto andare realmente al diavolo ero io.

Odio chi si fa i cazzi degli altri!

Li odio non per il fatto in se di farsi i cazzi degli altri, e in certi casi quindi anche dei miei. Di questa loro attitudine non mi frega nulla. Li odio perché più di altra gente mi mettono davanti alla mia misantropia, e io non sopporto la mia misantropia. Sono incapace di provare alcun interesse per la vita delle altre persone, successi, fallimenti, fortune, disgrazie, anche dei miei amici più vicini. Potrei vivere mesi, anche anni, all’oscuro delle vicissitudini della vita di persone a me vicine e senza neanche accorgermene. Poi capita di incontrarle queste persone, e scopri che di te sanno tutto, e loro, scoprendo che per quel che ti riguarda invece di loro non sai nulla, e che non sai nulla manco di altra gente, fatti di cui è impossibile non essere venuto a conoscenza, queste ti guardano come se fossi uno fuori dal mondo, un disadattato.

“Avrai certamente sentito di quel che è successo a … (chessò) … Sempronio. Che ne dici?”

“……..?”

“Ma come fai a non saperlo? Lo sanno tutti!”

Io non so neanche chi sia Sempronio! C’è scritto forse da qualche parte che per essere accettati dalla società occorre tenersi informati su quel che è successo a Sempronio? Che lo si stabilisca per legge allora e lo si insegni a scuola, così uno impara la lezione da bambino, e non si ritrova da adulto ad essere incapace di fregarsene qualcosa del mondo.

Odio gli orsi!

Li odio perché odio me stesso, ed io sono quel che si dice un orso.

Torna no?

Escludendo le persone a me care, nella mia vita mi è capitato molto raramente di incontrare persone la cui compagnia fosse per me piacevole. Non so portare esempi in questo momento. Ricordo di averne incontrate di queste persone ma essendo passato davvero molto tempo dall’ultima volta che è successo le ho dimenticate tutte. Di norma la compagnia di altre persone non mi porta altro che noia, e anche la seccatura di dovermi impegnare nella conversazione, attività che trovo tra le più noiose che ci possano essere.

Quando faccio il punto della situazione sul livello raggiunto dalla mia misantropia mi viene sempre in mente un fatto che ritengo particolarmente strano ma che non centra nulla con l’analisi su me stesso. Trovo interessanti i chiacchieroni. Persone a cui piace sentire il rumore della propria voce, che intendono la conversazione come una forma di comunicazione ad una sola via. Quando mi capita di parlare assieme ad una di queste persone finisco immancabilmente a fare dei gran esercizi per il collo, brevi movimenti rotatori in su e giù con il capo in successione ad intervalli regolari, finalizzati a informare il mio interlocutore che sto prendendo atto di quel che mi sta dicendo. Ed intanto la mia mente approfitta del tempo libero a disposizione per visitare luoghi sperduti della mia fantasia, posti in cui normalmente non avrebbe il tempo di andare.

In quelle situazioni non è necessario prestare attenzione alle parole dell’altra persona, qualche “si” ogni tanto, magari intervallato ad un “certo” a macchie di leopardo, basta a farle credere che si reputa interessantissimo il suo discorso.

I chiacchieroni mi interessano da diversi punti di vista. Ad esempio, non so perché trovo molto buffa la loro convinzione che tutto ciò che capiti loro nella vita sia estremamente interessante per gli altri. Ricordo che un tizio una volta prese a parlami dei problemi che la sera prima della nostra conversazione aveva avuto ad evacuare prima di andare a letto, e di come la cosa lo avesse preoccupato dato che per tutta la giornata non vi era riuscito e lui si faceva un vanto della sua regolarità. Ricordo l’enfasi che metteva nel parlarne, il gusto che provava. Queste persone mi affascinano probabilmente perché sono così diverse dal mio modo di essere. Come si fa a pensare che ad un’altra persona possa fregare qualcosa dei propri problemi intestinali? Occorre, credo, tenere se stessi in grande considerazione. È qualcosa che ame manca del tutto.

Non si direbbe, potrebbe affermare l'eventuale lettore, visto che mi stai sfracellando le glorie da circa mille righe a questa parte con i razzi tuoi.

Ma io sono anche molto incoerente, contraddittorio, illogico ... sono altri mie difetti.

E li odio tutti, tranquillo eventuale lettore.

Va beh, era una riflessione così, che non centra nulla con il resto.

Odio le mie sopracciglia!

Un unico tappetino folto sopra gli occhi, perennemente spettinato.

Odio il vento!

Lo odio perché quando soffia di solito ama insinuarsi tra i capelli di capelloni e donne, ma nel mio caso invece ama insinuarsi nelle mie sopracciglia … caz..!

La caratteristica che però più odio di me stesso e il mia attitudine a vivere costantemente con la testa tra le nuvole. Odio quest’attitudine perché è con questa più che con altre mie caratteristiche che riesco a ficcarmi nelle situazioni più seccanti nei rapporti con gli altri. Mi perdo i particolari nella vita reale, li semino come fossero noccioline in un sacco bucato che mi porto tutti i gironi in giro in spalla. I particolari sono importanti, possono rivoltare la percezione della realtà come un calzino. Le tonalità di grigio, l’ho provato sulla mia pelle, sono più pericolose del bianco e del nero, perché esercitano il loro potere in modo subdolo, sotterraneo.

Se non se ne tiene in debito conto le conseguenze della loro azione, come ramificazioni di un male oscuro, procedono indisturbate, si moltiplicano, non lasciano scampo. La conseguenza è la caduta del proprio mondo, delle proprie certezze, in un lampo, quando meno ce lo si aspetta, nel momento più sbagliato, quando non c’è più nulla da fare. Facendosi un’idea su di una questione senza avere a mente tutti i particolari si può arrivare a ritenere di essere dalla parte della ragione in modo evidente e ad agire sulla base di questa convinzione.

Ed è un bel rischio, perché basta una data sbagliata, una riga a margine non letta molto tempo addietro per negligenza, e ci si può trovare un attimo ad avere completamente torto.

C’è però qualcosa che amo da matti.

Inizia per effe.


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