Area 51

E’ ricorso un decennale significativo per me. E’ già passato, d’altronde era passato anche quando era passato. Me ne sono accorto all’improvviso, manco ha bussato. Dieci anni, dieci è un numero importante, dieci sono i comandamenti. Dieci è quando inizi a mettere un numero di fronte ad un altro numero. Allora concedetemi un gioco scemo, oggi che sono un uno, mi volto a guardare quando ero uno zero.

Le multe che non prendevo sulla 51. La 51 è la gloriosa linea che percorre un tracciato ideale o un’idea di tracciato dalla bella Trieste all’altrettanto bella e meno spocchiosa Udine. Unisce due terre differenti, e due tracciati mentali fondamentalmente distanti. Gli uni mangiano il prosciutto cotto con il kren, hanno un vocabolario separato dal resto del mondo se ordinano un caffè; gli altri si riscaldano col formaggio fritto e la polenta e il caffè fino a ieri lo allungavano con la grappa.

Conoscevo a memoria gli autisti della 51, c’era un mona che metteva le cassette con Tiziano Ferro, uno cattivo cattivo che ti squadrava e chiedeva sempre il biglietto, poi c’era il grassone coi rayban. C’è sempre almeno un grassone per linea. Mi piaceva prendere la 51, aveva uno scopo preciso. Uno scopo, appunto.

Mettevo su le cuffiette e ne ascoltavo di cacca. Intanto il paesaggio variava tra campi e dormitori. To’, tieni (?) questi 10 minuti di raffreddore, con sotto un disco che poi ti piaceva. Cacca profumata e ricoperta di pajette, che ti piacevano anche quelle. Andavi in brodo di giuggiole quando qualcosa luccicava. Una gazza ladra. Non me la prendo con nessuno, non posso prendermela che con me stesso. Già, basta sentire cosa cazzo ascoltavo musicalmente. La vita c’ho messo anni di fatica a peggiorarla e non spettano a nessun altro diritti d’autore. Ma come in ogni casino che si rispetti, una volta arrivato al punto in cui non riesci a camminare per la mole di oggetti a caso per terra, ti fermi. La cosa importante prima o poi è arrivare a capire che quel casino ha preso il sopravvento sulla tua persona. E’ importante. Un bel respiro, ascolta l’aria che ti entra nei polmoni, fesso. Quand’è stata l’ultima volta che hai respirato. Ti sei scordato come si fa o non l’hai mai fatto. A questo punto non fa differenza.

Probabilmente iniziò ad avere senso, eravamo seduti su uno scivolo, non c’era nessuna scritta sul muro, non c’era assolutamente niente. Quando t’inventi che il nulla ha un senso sei nella merda.

La 51 è rimasta, è ancora lì che fa i suoi giri, con una quindicina di rotonde in più. Parte in pianura nel verde e ti mostra da lontano le alpi orientali come un anfiteatro greco. Si lascia alle spalle il granturco per rivelare il collio con i suoi vigneti. Attraversa il lembo bisiaco dove subentra la vegetazione mediterranea, e dove inzia la spina dorsale del carso che protegge dai venti. Prosegue fianco a fianco con l’altopiano e, meravigliosamente, per aprirti la vista al mare s’inerpica sulla costiera, ad un centinaio di metri, in modo che il riflesso del sole s’infranga con innumerevoli onde. Là dove gli austriaci hanno costruito i castelli per abbronzarsi, là dove l’adriatico finisce, o inizia, dipende dai punti di vista. La fine non è un inizio?


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