Un calcio di rigore? Non è un giocattolo!
I recenti accadimenti in Champions League a Madrid che hanno portato la Juve fuori dall’Europa mi hanno risvegliato i sensi su cosa sia effettivamente un calcio di rigore e quale significato abbia realmente. Pur essendo milanista rientro fra quelli che sostengono che quello concesso al Real Madrid a tempo ormai scaduto sia un regalo vero e proprio.
Non entro nel merito dell’episodio in questione (mi limito a dire che Benatia mette appena una mano sulla spalla e poi salta toccando peraltro il pallone) ma espando il discorso ad un contesto molto più generale. Vediamo sempre gli arbitri dare un rigore alla minima spinta, la minima trattenuta, il minimo contatto, il minimo incrocio di gambe; e si sentono gli opinionisti in TV dare ragione all’arbitro dicendo “il contatto c’era”, “la trattenuta c’era”, “il mani c’era”, magari sostenendo l’esistenza di un “danno procurato” (espressione che nemmeno esiste nel regolamento calcistico); o se il rigore non viene concesso si sente tirar fuori le stesse motivazioni per sostenere che doveva essere concesso il rigore. Questo atteggiamento fa dimenticare il vero spirito del gioco del calcio e allo stesso modo il vero significato di “calcio di rigore”.
Riguardo allo spirito del gioco ci si dimentica una cosa: il calcio è un gioco fisico e di contatto e in quanto tale prevede trattenute, spinte, gambe che si toccano e quant’altro… Basta soltanto vedere le mischie in area di rigore su punizioni e soprattutto calci d’angolo, quante maglie che si estendono ogni volta, quante cinture, quante mani sulle spalle; dovremmo dare 30 rigori ogni partita? Sarebbe logico se le partite finissero 10-9 solo perché ci sono state dieci trattenute in area per parte? L’abilità di chi gioca il pallone consiste proprio nel saper vincere il contrasto superando proprio quella trattenuta, quella spintarella, quell’incrocio di gambe e di mani; fischiare al minimo contatto a favore dell’attaccante toglierebbe il bello del gioco del calcio, del riuscire a vincere il contrasto con le proprie forze; semplificherebbe troppo la vita a chi attacca e il calcio perderebbe quel senso di sfida che lo contraddistingue.
E poi ci dimentichiamo del significato della parola “rigore”; i dizionari accostano la parola rigore alla disciplina, alla severità, alla durezza, a qualcosa di serio e deciso; se l’hanno chiamato “calcio di rigore” vuol dire che si prefigge di punire qualcosa di grave, di palesemente scorretto, probabilmente anche di cattivo, una trattenuta plateale, uno sgambetto vero e proprio, un tocco col braccio chiaramente largo, una spallata di quelle fatte apposta per buttare giù; questo è quello che dovrebbero sempre avere in mente gli arbitri prima di fischiarne uno ma anche chi scrive il regolamento per evitare che gli arbitri si sentano ogni volta giustificati a concederne uno. E anche il fatto che l’area si chiami “area di rigore” può voler dire che se questi falli fuori area possono anche essere fischiati lì dentro invece bisogna prestare molta più cautela. Esiste l’istituto della punizione a due in area, un’idea potrebbe essere quella di estenderla ai falli che non mostrano particolare cattiveria, i cosiddetti “falletti”, oltre che alle fattispecie già previste dal regolamento.
Ma anche voi che commentate in TV, nei bar, in ufficio e ovunque, pensateci prima di inveire contro l’arbitro!