D.A.V. (Democrazia ad Alta Velocità)

Il TAV (Treno ad Alta Velocità) Torino-Lione è diventato negli ultimi tempi una sorta di vessillo agitato in aria come la bandiera della squadra del cuore. Si parla quasi più dell’analisi costi-benefici commissiona dal MIT agli esperti che del VAR la domenica sera.
Anche se poi a dire il vero, visto la complessità tecnica della faccenda, non si entra mai nel merito, ma ci si limita a recitare in loop le solite frasi da marchetta da “meno inquinamento e più velocità” a “non si può bloccare l’Italia” il tempo necessario a riempire la pagina politica dei tg di prima serata, senza chiarire alcunché all’ignaro telespettatore.
Ora aldilà delle opinioni personali, la questione TAV mi serve da spunto incidentalmente per parlare d’altro.
Il governatore del Piemonte Chiamparino ha chiesto l’indizione di un referendum popolare per far esprimere i cittadini riguardo questa grande opera. E qui casca l’asino.
La costituzione italiana prevede diversi istituti di democrazia diretta: dal referendum abrogativo (art. 75) al referendum costituzionale (c.d. referendum confermativo art. 138) passando per la petizione ed il diritto di iniziativa popolare (servono almeno 500.000 aderenti). Accanto a questi strumenti la possibilità per le autonomie locali di prevedere nei propri statuti lo strumento del referendum consultivo su questioni locali, su cui molti dubitano possa rientrare il tema TAV, che ha portata più nazionale che locale.
Non c’è dubbio che un moderno Stato di diritto la democrazia diretta sia un ottimo esempio di partecipazione della società civile e dare la parola al cittadino sia sacrosanto.
Sempre e comunque, su qualunque tema?
Se recarsi alle urne per esprimere la propria opinione su temi etici quali eutanasia, matrimonio di persone dello stesso sesso e adozioni non richieda altro che esprimere un proprio giudizio di valore circa la nostra visione che abbiamo della società del futuro e del modello di convivenza che vogliamo, riguardando infondo una mera scelta personale, per altre questioni lo strumento del referendum rischia di essere un cortocircuito. E qua torniamo alla spina TAV.
Ipotizziamo che il cittadino venga chiamato ad esprimersi pro o contro l’opera. Qui il cittadino razionale non può limitarsi a trincerarsi dietro lo scudo del giudizio di coscienza ma andrebbe prima ad informarsi bene su cosa vorrebbe dire propendere per una scelta o l’altra in termini economici sul bilancio dello Stato, trattandosi di un investimento pubblico.
Assumendo che il cittadino medio sia un tipo che abbia voglia e tempo da dedicare alla questione, potrebbe persino non bastare analizzare le informazioni in suo possesso.
Prendiamo per buona l’idea che l’analisi costi-benefici dei tecnici presieduti dal prof. Ponti poggi su solide basi tecnico-scientifiche. L’analisi, come ben evidente dalle circa 80 pagine, fa sfoggio di termini propri di un dizionario specialistico il cui campionario comprende termini quali TIR, VAN, esternalità, surplus del produttore etc, senza contare la mole impressionante di grafici e calcoli. Termini che probabilmente, non per sua colpa, l’italiano medio ignora nel suo significato e che saranno invece familiari agli studenti di economia o agli economisti.
Persino il sottoscritto, non studente di Economia, ma che ha studiato micro e macroeconomia anche in tempi recenti, avrebbe bisogno di una lettura attenta se non ad un approfondimento sulle basi teoriche.
Avrebbe senso far svolgere comunque un referendum su un quesito così tecnicamente ostico? O sarebbe meglio che sia la politica a prendere una decisione ed assumersi la responsabilità di fronte al popolo? Siamo nel novero delle ipotesi, visto che difficilmente verrà svolto un referendum.
E torniamo all’inizio: democrazia diretta e democrazia rappresentativa non possono che vivere in simbiosi, senza che l’una possa mai annullare l’altra.


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