Nostalgia
Mi manca tanto Giorgio, oggi.
E' perché l'ho sognato stanotte mentre che si vantava, cercando di non farlo pesare, di avere collaborato colla polizia e smascherato l'autore di un omicidio. Aveva intuito (lui, medico anestesista) che il sospettato del delitto avesse non so quale forma di cancro al cervello, e che tale sua patologia fosse alla base dell’atto di follia compiuto. E ricordo pure, mentre lo indicava al tizio con cui si stava pavoneggiando, il disegno rappresentativo del carcinoma in questione, appeso a una parete accanto a tanti... una specie di calotta rosso/marrone vistoso sopra il disegno sfumato di una testa d'uomo. L'uomo a cui Giorgio si stava riferendo non riuscivo o meglio non volevo metterlo a fuoco; il mio impegno era di origliare discreto accanto a loro, che non s'erano accorti di me o in ogni caso non mi consideravano.
Poi comunque si andava tutti fuori a far due passi nel marciapiede di fronte all'ospedale… ma non uscendo da esso, bensì da una palazzina di fronte… Che cazzo di sogno!
Il quale si era interrotto a questo punto (erano le sei del mattino, circa): dei colpi di tosse di mia moglie (nell'altra camera, in preda ancora al pesante e snervante disturbo gastrico a quanto pare psicosomatico perché non le hanno trovato niente ancora, ma che la affligge ciclicamente da una vita, da prima che ci conoscessimo) avevano interrotto la mia creazione onirica, col fiotto di adrenalina che mi aveva riproiettato bruscamente nella realtà problematica e ansiogena di questi giorni: ero sveglio, nel divano letto della cameretta, da qualche giorno mio luogo di riposo in attesa che lei si rimetta.
Giorgio è stato una figura importante nella mia vita, importantissima. Il mio carattere di gioventù notevolmente schivo, prudente, riflessivo, attendista necessitava assolutamente di un compagno di avventure ambizioso, deciso, focalizzato sul presente e sull’immediato futuro. Una persona che mi agitasse il ciuffo, che mi mettesse sotto il naso personaggi, situazioni, conoscenze, casini, feste, cose da fare e da pensare, donne da rimorchiare, amici degli amici degli amici da frequentare. E così è stato, per diversi anni, quelli decisivi.
E pensare che la prima volta che lo vidi mi sembrava assai goffo e un po' tardo. Eravamo nella stessa squadra di basket giovanile, io piuttosto sveglio e rapido e in fiducia, lui lungo lungo e legnoso, con quella faccia un po’ tonta. Però rammento che alla prima partita ufficiale insieme io segnai nove punti e lui fu il secondo marcatore della squadra con otto, pur non essendo neanche entrato in quintetto…Il suo metro e quasi novanta a quindici anni evidentemente pagava, anche se lento e non aggraziato.
Poi ci si incontrava in giro ogni tanto e basta, io preso solo dal basket, lui più dai boy scout (venni a sapere molto dopo), e al liceo lui era sì nella stessa sezione, ma la classe dopo della mia. Ci si salutava, ma non avevamo molto da dirci.
Finché mi è venuto a cercare un giorno di settembre che eravamo ormai ventenni. Era in parola, insieme a un suo amico, per un appartamento da quattro posti a Bologna e cercava altri due studenti per completarlo. Io m’ero stufato di fare su e giù col treno ogni giorno fino alla facoltà a sessanta chilometri da casa e per fortuna la mia famiglia, alla richiesta di cambiare ateneo e fare lo studente fuori sede a Bologna dal lunedì al venerdì, aveva assentito.
Neanche il tempo di passare dal primo problema (dirlo ai miei) al secondo e cioè trovare casa e compagni, che ripiomba nella mia vita Giorgio coi suoi piani, il suo appartamento in parola, il suo amico di scorta, la sua centralità nella vita, la sua decisione, il suo entusiasmo.
E lì per lì va tutto a puttane!. Il proprietario dell’appartamento di lì a un mese, ormai ottobre, si riunisce con noi e i nostri genitori e pretende sei mesi di caparra! Lo mandiamo tutti a cagare e siamo al punto di partenza, a tre settimane dall’inizio dell’anno accademico.
Giorgio non fa una piega, mi chiede immediatamente (a me, non al suo amico) se ci sto a fare un salto con lui qualche giorno a Bologna per cercare un altro appartamento. Il pernotto non è un problema, andiamo ospiti di altri studenti e concittadini che sono là dall’anno scorso. Così una domenica sera prendiamo il treno, poi l’autobus, poi un altro autobus e sbarchiamo a tarda sera in un appartamentino alla periferia di Bologna, dove tre coetanei e concittadini che naturalmente conosco più o meno bene, hanno appena finito di cenare. E’ avanzato lo stufato di fagioli e dal pentolone raschiamo tutto l’avanzo, poi due chiacchiere e a nanna su di un letto libero e su un divano.
Il giorno dopo di buon’ora usciamo, ci rechiamo alla stazione chissà perché e ci attacchiamo ad una cabina telefonica, elenco in mano alla pagina delle agenzie immobiliari. Lui chiama a mitragliatrice “...Siamo quattro studenti fuori sede cerchiamo un appartamento in affitto…” ecc. ecc., io gli passo i numeri, spunto quelli già chiamati, faccio insomma servizio logistico. Più di trenta chiamate, solo tre risposte positive.
Alle due del pomeriggio, dopo altri autobus e un panino al volo, siamo sullo scalino di accesso di un negozio di orologi in periferia accanto alla fermata d'autobus, indicataci come luogo convenuto per l’appuntamento con un'affittuaria. Un’ora di attesa, ci prelevano e ci portano all’estremissima periferia di Bologna facendoci vedere due stanze una grande e una piccola con tinello cucinotto e bagno. Sui sessanta metri quadri, niente di che ma il tempo stringeva e a me e a lui va bene.
Torniamo a casa e proponiamo la cosa agli altri. Al padre dell’amico di Giorgio la quota d’affitto risulta salata, e un po’ anche al mio. La soluzione è coinvolgere una quinta persona, tanto la stanza grande tre letti li tiene agevolmente. L’operazione va in porto e il due di novembre siamo tutti e cinque a Bologna a dare una bella svolta alle nostre vite.
Io arrivo per ultimo e da solo, però: avevo avuto un lavoretto da fare, o forse un impegno di famiglia non ricordo. Fatto sta che non partecipo al viaggio in camion coi mobili (l’appartamento era vuoto ad esclusione dei letti; per mobili si intende qualche rimasuglio dalle rispettive soffitte e cantine). Come risultato, quando arrivo anch’io il giorno dopo non c’è il mio letto! Ma m'informano che lo posso recuperare in un magazzino, vicino alla stazione, otto chilometri da lì. Li faccio andata e ritorno con uno di quei carrelli a tre ruote a pedale, mezzo vetusto che il contadino vicino a noi gentilmente mi presta (da quel contadino poi si andava ogni tanto… ci dava una coppia di ovetti freschi delle sue galline per ogni chilo di pane raffermo che gli portavamo). Ci metto tutta la mattina, pian piano specialmente al ritorno, con le assi del letto e la rete di traverso al carrello. Una faticaccia ma a vent’anni la si fa, e son cose che restano.
Io e Giorgio poi ci siamo persi di vista e incontrati solo sporadicamente, da adulti. La nostra amicizia è durata un quindicina d’anni, gli ultimi dei quali una delusione via via più netta. La sua grinta e il suo spirito d’iniziativa, scevro di disagio o timidezza, il suo imbucarsi a destra e sinistra, fare e disfare, conoscere e provare, con l’andare degli anni e della maturità si sono semplificati in sostanziale, notevole opportunismo e narcisismo. Infatti è stato lui in definitiva ad allontanarsi, intento a fare conoscenze più importanti, potenti, utili a se stesso.
Così Giorgio è diventato una di quelle persone che da grande consideri paraculo, egoista, stronzo, che non hai nessuna intenzione di frequentare più ma per il quale resta un’incredibile, calda riconoscenza. Perché è stato importante, c’era nelle mie migliori giornate da giovanotto e restano i viaggi, le donne, le scelte, le situazioni, le serate infinite insieme, quell’insieme di esperienze che forgiano il tuo essere e indirizzano la tua vita.
Giorgio è morto tre anni fa: cancro al cervello. Se l’era diagnosticato da solo, e nell’anno che gli restava dalla diagnosi alla morte ha preso la decisione di mettere insieme e pubblicare la cosa più narcisistica che si possa immaginare: un libro che racconta tutta la sua esperienza medica, l’anno e mezzo da sottotenente sulla Vespucci, i quattro mesi in Iraq in un cantiere, gli studi e le ricerche e gli sforzi e il lavoro nei reparti di anestesia e rianimazione che ha girato, fino a diventarne primario.
Non gli amici, gli amori, la famiglia, i viaggi: l’anestesia e la rianimazione, dal punto di vista di chi ci ha dato dentro e ne ha avuto riscontro. Tipico di Giorgio.
Grazie di tutto Giorgio. Ti voglio bene. Mi hai dato tanto, anche se sono sicuro che è perché ti stavo vicino, non perché ci tenevi a me.
Al tuo funerale laico ci sono venuto, ma al momento dei discorsi di amici e parenti me ne sono stato zitto: non avevo solo del buono da dire, e c’era pure una vedova con due figli. Nè volevo mentire.