Bisogna tentare di vivere

«Si alza il vento, bisogna tentare di vivere».

Credevo di morire senza cinema, sei settimane fa.

Credevo di cavarmela con lo streaming, con i classici. «Tutti a casa mia».

Credevo che della pandemia avrei vissuto solo la noia, il tempo sospeso.

Poi le cose si sono fatte gravi, per tutti.

La morte l'ho letta, in infinite pagine del giornale di Bergamo per cui lavoro.

La morte l'ho pubblicata.

Ho assegnato e titolato articoli su lutti e lutti, su comunità lacerate dal dolore.

Prostrate.

Ho letto di chi ha perso il fratello e lo zio nello stesso, maledetto giorno.

Ho letto di paesi devastati, martirizzati. Ho letto di Nembro, dieci morti al giorno.

La signora dell'anagrafe, il bibliotecario, il tecnico del cineteatro.

Ho pianto per giorni, solo in casa o davanti a mia madre, a mio padre, mentre glielo raccontavo.

Ho pianto come mai in vita mia.

Ho visto la voragine sottostante.

Poi mio fratello ha iniziato ad avere la tosse, la febbre.

Mia sorella non si sentiva tanto bene.

I miei due zii hanno vacillato. Uno dei due l'ho visto sottile, a letto tutta la settimana.

Ho passato un mese che mi è sembrato un anno.

Lavorando dalle 7 di mattina a mezzanotte, all'una.

Ho fatto due lavori al giorno, per giorni che mi sono sembrati infiniti.

Ho letto la morte e accolto la vita di un vitellino, tra gli sforzi miei e di mio padre.

Ho mischiato la polvere del fieno e l'odore dell'alcol cosparso su ogni cosa.

Ho vacillato, al vacillare di mia madre per ogni colpo di tosse di mio fratello.

Ho ripensato a quando guardavo i film, come se fosse una vita precedente.

Ho lottato a testa bassa, stremato, senza che mi sfiorasse l'idea di mollare.

Ho sgridato mia madre per le sue fragilità. Perché dice di non riuscire a dormire.

L'ho coccolata con le bugie, perché lei la tv non la guarda più.

Ho visto i miei cari guarire, un po' alla volta.

Ho saputo la morte del padre di un collega, l'ho letta nelle sue parole stampate sulla carta.

Ho saputo la morte del nonno di un amico, l'ho sentita nelle sue parole al telefono.

Ho accettato il taglio dello stipendio. Mi sono incazzato per il taglio dello stipendio.

Ho visto infiniti programmi, letto analisi, teorie, statistiche, congetture, inchieste.

Ho visto qualche film senza riuscire a guardarlo, con il pensiero sempre altrove.

Ho pensato di aver perso qualcosa, di aver perso l'amore per l'inutile bellezza del cinema.

Cos'era la nostra vita prima di tutto questo? Una dolce luna di miele.

Credevo di essere cambiato, inaridito.

Coriaceo, ma senza spazio dentro.

Fino a oggi. Quando ho rivisto un pezzo del mio Miyazaki.

Ho capito che in qualche modo bisognerà tentare di vivere.

Anche dopo tutto questo.


Carico i commenti... con calma