La morte dei colori

Viviamo l’infanzia avvolti da una vera e propria tavolozza di colori, tutto è tremendamente colorato. Non serve una gran memoria per ricordare quanti colori ci circondavano. A Natale le luci sull’albero che si accendevano ad intermittenza e poco sotto tutti quei pacchi ricchi di decorazioni delle più disparate. Nell’astuccio a più scomparti potevamo ammirare tutta la scala di colori creata dai nostri pastelli o la confezione sottile e longilinea dei pennarelli appena comprati, in più la maestra ci faceva colorare le schede, anche se orrende per via delle fotocopiatrici molto rudimentali, perché sapeva che i colori erano importanti. Facevamo il bagnetto con un ranocchio che non aveva vergogna di mostrarsi in tutto il suo verde sgargiante, ma nemmeno la paperella si vergognava del suo giallo acceso. A carnevale dal pacco trasparente uscivano tanti dischetti di carta variopinti, e ci piaceva assai, come anche il vestito di Arlecchino con i suoi rombi tutti ravvicinati che anticipavano le fantasie di Desigual di alcuni secoli; ma anche nel nostro guardaroba c’erano tante belle tutine colorate.

Poi succede una cosa che non so quanto sia bella sotto certi aspetti: cresciamo… e crescendo cambiamo stile come se fossimo diventati un’altra persona. Da un giorno all’altro i colori ci diventano quasi indigesti. Gli abiti cominciano a diventare meno sgargianti, usiamo le tonalità più spente e scure di qualsiasi colore, quando facciamo shopping il rosso tende al porpora, il blu diventa notturno, il verde tende ad appassire, il giallo diventa giallognolo, il rosa è perlopiù spento. Ma soprattutto ci danno fastidio gli accostamenti di fantasie e di colori, ecco che allora ci riempiamo di pippe mentali che chiamiamo, per usare un linguaggio elegante, “abbinamenti”; il colore delle scarpe deve abbinarsi con la maglia, e lo smalto dev’essere in sintonia con l’ombretto o il rossetto… e andiamo nel panico, e l’unico problema spesso non è che i due colori non stanno bene assieme ma addirittura che i due capi non hanno esattamente lo stesso colore. Già negli anni delle superiori definiamo “sfigato” quello che indossa troppi colori (“costume nero, ne vado fiero, i colorati sono sfigati” cantavano i GemBoy).

Poi facciamo la patente e compriamo la macchina… ed ecco che lo spettro di colori si riduce ulteriormente, sulle strade si vedono perlopiù automobili bianche, beige, nere, grigie, in minor frequenza blu scurissimo o rosso scuro. Poi ci sposiamo e compriamo casa… ed eccoci ancora una volta a puntare su mobili beige o marroncini e ancora pippe mentali su quanto quell’accessorio stia bene nel salotto e su quanto sia davvero in sintonia con il mood; solo all’arrivo dei bambini la cameretta si anima di colori, solo per merito loro quella stanza diventa la più cool della casa.

Il problema di fondo è che chiamiamo questo passo verso il grigio “maturità”, sembra che ci abbiano proprio inculcato la convinzione che “i colori sono da bimbi”, arriviamo a pensare che il festival dei colori rappresenti il disordine, il caos, l’indecisione, e che la moderazione e l’abbinamento rigoroso degli stessi sia simbolo di crescita, come se ci si sentisse orgogliosi di essere riusciti a fare delle scelte e a trovare l’armonia e l’equilibrio. Non è un caso se anche il settore della moda presta un’attenzione maniacale agli abbinamenti.

Dobbiamo invece riscoprire la bellezza dei colori e del loro trionfo. Nel momento in cui ci disfiamo dei colori ci disfiamo di noi stessi, perdiamo quell’allegria che i colori mettono e siamo soltanto più morti psicologicamente, se non depressi, e chissà, magari il nostro stato d’animo non sempre al top potrebbe dipendere anche dalla scarsa presenza dei colori, chi l’ha mai negato?! Chissà, magari i bambini sono sempre felici perché hanno tanti colori attorno e non ne fanno un problema… Ma liberandoci dei colori e dei motivi fantasiosi perdiamo anche quella fantasia, quella pazzia e quella creatività che la natura ci ha dato ma che noi quasi ci vergogniamo a mostrare, come se mostrare un lato vario(pinto) sia da persone infantili ed insicure, che non sanno quello che vogliono; in realtà sono invece i monocromatici od oligocromatici ad essere troppo convinti e schematici, a dimostrarsi ottusi e perfino noiosi, anzi, diventiamo insicuri e paranoici proprio quando ci ostiniamo a scegliere ed abbinare i colori in maniera rigorosa, perché non ci sentiamo mai soddisfatti della scelta, perché abbiamo paura del giudizio altrui e ne diventiamo infelicemente schiavi.

C’è però una contraddizione in tutto ciò: ci piacciono la primavera e l’estate, le due stagioni più colorate, non vediamo l’ora che arrivino, ci piacciono proprio il giallo del sole, il verde degli alberi, i vari colori dei fiori e l’azzurro del cielo, colori che si presentano tutti insieme e che ci piace vedere tutti insieme, ci piace perfino il tramonto, appena viene fuori uno di quei tramonti variopinti ecco tutti pronti a fotografarli per metterli su Instagram… e poi ci piace l’arcobaleno, che di colori ne ha 7. Questo ci dice molto, ci dice che senza i colori saremmo tutti morti, senza accorgercene i colori ci danno quella forza in più, ci fanno amare la vita senza farsi sentire troppo, dovremmo pertanto riscoprire la loro bellezza e portare loro più rispetto, pensiamoci quando chiamiamo “Arlecchino” il tizio con troppi colori addosso.


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