Tutto passa... Tranne l'autobus che aspetti


Visto il freddo, stamani, uscendo di casa, mi son detto: “Sai che c’è…? Oggi, invece che in bicicletta, quasi quasi me ne vo con l’autobus”. Non l’avessi mai fatto! Ho dovuto aspettare venti minuti alla fermata prospiciente il circolo ARCI, in compagnia di alcuni ottuagenari congelati dal torneo di Burraco della sera prima. Quando poi l’autobus è arrivato – lo confesso: m’ero distratto e allontanato – ho dato vita a tutto il campionario di segni internazionalmente riconducibili a un tizio che implora di aspettarlo, pur consapevole del fatto che le possibilità che un autista ti attenda prima di ripartire sono pari a quelle di vedere i Genesis riunirsi in occasione del “Festival della canzone ciociara” di Lariano. Niente da fare: se n’è ripartito, tronfio e irridente.

E tutto questo, affrontando pedibus calcantibus il tragitto casa-lavoro, mi ha portato a riflettere sui traumi infantili che debbono aver segnato l’esistenza dei manovratori di autobus, personaggio del sistema viario di cui gli abitanti di qualsiasi cittadina conoscono bene l'indice di pericolosità. La sua sommaria descrizione corrisponde a quella di un uomo generalmente bilioso, rancoroso e vendicativo, perennemente incazzato coll’umane genti. Nonostante egli già presenti gran parte di quelle caratteristiche necessarie alla carriera che lo attende, l’azienda filoferrotranviaria, particolarmente attenta alla preparazione dei suoi dipendenti, premette all’attività lavorativa un corso di formazione, distinto in una sezione teorica ed una pratica - o di tirocinio - ed articolato nelle seguenti discipline:

SCIENZE DELLA DISEDUCAZIONE: il futuro autista viene indottrinato circa le diverse possibilità di offesa, insulto o ingiuria, ponendo particolare importanza anche alle problematiche afferenti la sfera delle mortificazioni corporali da infliggere ai passeggeri meno remissivi. Superato con profitto tale insegnamento, il futuro autista potrà – in un solo turno di lavoro – utilizzare un numero di moccoli e turpiloqui che, impiegati con oculatezza, sarebbero sufficienti ad una persona di ordinaria moralità nell’arco di una vita intera.

SCORTESIA APPLICATA: al conducente vengono mostrate, avvalendosi anche di rappresentazioni teatrali e performance, le diverse possibilità a sua disposizione per svillaneggiare e bistrattare i passeggeri, trincerandosi, poi, dietro un generico “non parlare al conducente”.

FONDAMENTI DI PERVERSITÀ: all’allievo viene insegnato, anche servendosi di filmati, come trarre il massimo soddisfacimento dalle parti contundenti dell’automezzo a sua disposizione; verrà mostrato, ad esempio, come utilizzare una porta a mo’ di ghigliottina o in quale modo frenare per intasare di anziani il vicino Centro traumatologico.

ISTITUZIONI DI MASCALZONATE COMPARATE: avvalendosi di supporti audiovisivi, viene mostrato all’allievo il burbero comportamento dei suoi colleghi nelle principali città europee. Particolare attenzione viene riservata al caso della regione del Baden-Württemberg - dove i conducenti di autobus esibiscono una divisa che ricorda sinistramente quella delle SS - e a come possa essere variamente interpretato l’avviso “Non parlare al conducente” (“Sprechen Sie nicht mit dem Führer!”).

600 ORE DI TIROCINIO: Tutta la parte pratica del corso viene svolta nel campo di addestramento dell’azienda, dove a ciascun conducente viene assegnata una ruspa, o un caterpillar, o una mietitrebbia, abituandolo, per il futuro, a non giudicare degno di considerazione quello che si frapporrà fra lui ed il raggiungimento dell’agognata lettura del Corriere dello Sport al capolinea. Al termine del corso, dopo una solenne ma composta cerimonia, egli viene insignito dei galloni di Conducente. Da quel momento la sua occupazione consisterà nello sbriciolare i femori delle vecchiette nelle porte, vilipendere gli automobilisti nelle corsie preferenziali, sgasare in bocca ai ciclisti, smoccolare e sacramentare contro Dio e autorità costituite in genere.

Quanto al cosiddetto “parco mezzi”, poi, occorre tenere presente che, mentre nelle zone centrali della città sfilano vetture modernissime dotate di ogni comfort, nelle tratte dei sobborghi si aggirano torpedoni che sembrano usciti dritti dritti da un film con Anna Magnani ed espongono scritte del tipo "Scelba boia!". L’autobus suburbano, incontrastato Signore della viabilità periferica, gode pertanto di un vero e proprio microclima. In particolare, durante la stagione invernale, grazie all'intelaiatura traforata dall’usura e ai finestrini bloccati dal 1988, vi imperversano correnti gelide che falcidiano la fazione più malandata dei passeggeri e tramutano la cabina di guida, particolarmente colpita dagli spifferi, in un’autentica ghiacciaia. Gli autisti si palesano, allora, intabarrati con paraorecchi calati, fusciacca di montone e occhiali da neve. Tale abbigliamento, unitamente alle folate ghiacciate e a certe grida belluine che provengono dalla cabina di guida, inducono i passeggeri più suggestionabili a credere di trovarsi sull’invincibile Fokker di von Richtofen. Emblematico il caso del conducente Adelmo Severini, assegnato ad una banale corsa “Stazione centrale-Stadio” e rinvenuto nottetempo sul passo della Tosa, in uno stato confusionale che l’aveva indotto a ritenersi il capo-spedizione del dirigibile Norge, mentre ingiungeva ad alcuni sconcertati montanari di “operare d’urgenza sui flap, boiaduncàn!”. Altri, invece, ostentano un atermico contegno ed un’ineccepibile divisa d’ordinanza, mentre sotto, in realtà, sono avvolti nel Domopak come grosse orate al cartoccio.

D’estate, invece, le soste al capolinea sotto un sole ineluttabile, il guasto dell'aria condizionata, le esalazioni studentesche dopo la quinta ora di ginnastica ed il blocco simultaneo di gran parte dei finestrini (gli stessi che in inverno rimanevano bloccati aperti!), trasformano l’automezzo in un camera a gas. L’autista cercherà di reagire viaggiando con le porte aperte, creando così delle perturbazioni monsoniche, e costringendo i passeggeri ad aggrapparsi per non essere risucchiati via dal tifone. Il suo abbigliamento sarà ridotto a mutande e canotta e, nei casi più estremi, guiderà seduto su un blocco di ghiaccio.

Esiste, infine, un vero e proprio campionario di frasi da non rivolgere mai ad un autista d’autobus (“Scusi… che lei vende i biglietti...?”, “Dove devo scendere per andare al santuario...?”, “A che ora parte...?”). Per comprensibili ragioni di stringatezza, in questa sede ci si limiterà alla più terribile: “Scusi… apre al centro?”. Tale locuzione – apparentemente innocua e convenzionale – sembra abbia il potere di scardinare la morigeratezza del conducente più mansueto, trasformando il suo spirito nel più fecondo asilo di proponimenti di killeraggio seriale. Nelle lunghe e buie attese ai capolinea, i conducenti più anziani raccontano ancora alle implumi e atterrite reclute di quando Baroncelli Osvaldo, capo-manovratore e sindacalista, staccò un orecchio a morsi all’intervistatore di una Tv locale che – cercando conferma di una sua disponibilità verso partiti d’estrazione cattolica – gli chiese: “Allora, che fa?... Apre al centro?”.


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