COS’È LA MUSICA

Dalla musica, in tutte le sue forme ed in tutte le sue espressioni, nasce qualcosa di sovrannaturale, talmente carico di armonica magia che è quasi impossibile cercare di tradurlo in parole. Sappiamo tuttavia che l’energia vibrazionale, la quale passa attraverso percezioni ed emozioni e, nondimeno, si ricollega all’atavica energia del cosmo, è per noi energia vitale. Questo concetto meriterebbe ulteriori approfondimenti data la mole di contenuti. A noi occorre constatare che la musica emana delle onde energetiche i cui effetti benefici sono tangibili. La musica è quindi per l’essere umano una forma di pathos e, pur estrinsecandosi in una moltitudine di generi dalle più variegate interpretazioni, possiede la facoltà di mettere in moto particolari vibrazioni in ognuno di noi; tutto ciò non è propriamente descrivibile nella sua interezza, ma sappiamo che l’energia è in grado di ridisegnare e, in un certo senso, ricreare il naturale ordine delle cose nel loro senso reale, ogni volta trasfigurandolo e ricomponendolo secondo un ordine armonico tanto lieto quanto difficile da spiegare. È il caso, per esempio, della funzione attribuita alla musica nella cosiddetta colonna d’armonia. Non entriamo nello specifico dell’argomento perché è piuttosto complesso. Ad ogni modo nella circostanza ci limitiamo a rilevare che il termine armonia, apparso in Germania nel XVIII secolo e diffusosi in Francia già dal 1775, ha una sua connotazione precipua in ambito rituale. La definizione che viene riportata da Irene Mainguy è di per sé un’opera d’arte: “La colonna d’armonia sottolinea il ritmo. La musica rappresenta l’Arte di armonizzare il suono che, regolato in altezza, lunghezza e intensità diventa una nota. La musica è l’organizzazione coerente del suono, di molti suoni simultanei o consecutivi. La bellezza del suono è nella sua altezza, la forza nella sua densità, e la saggezza è nella sua lunghezza”. Pertanto possiamo costatare che, così com’è fonte di benessere psico-fisico, la musica è fonte di nutrimento per che per l’animo umano in sé che va oltre, quindi per l’umanità. Se quindi, come dice Russell, entro l’impalcatura di alcune verità, soltanto sulle solide basi di una rigida disperazione, può essere costruita un’abitazione sicura per l’anima, con ogni verosimile probabilità la musica è l’antidoto che fa da contrappunto a tutto ciò. Nondimeno la musica è per sua natura un’arte che va oltre la distinzione musicale tra due esclusive categorie ed è, per sua natura, universale: “Certo è che quanto è rimasto della musica occidentale, fino a poco tempo fa, tendeva a suddividersi in due grandi categorie, ciascuna con scopi e usi diversi: la musica sacra o ecclesiastica e la musica popolare. La prima categoria comprendeva la musica di cui gli uomini e le donne si servivano per adorare, invocare e placare le oscure forze sovrannaturali. Nella seconda categoria troviamo la musica che esprime l’uomo e i suoi rapporti, i suoi sogni, i suoi desideri istintivi e l’universo tangibile”. [Herbert Weinstock, “What music is”, 1953, 1966; ital.. “Cos’è la musica”, Oscar Mondadori Editore, 1969] Rassicuriamo tutti dicendo che né la musica sacra né la musica popolare sono scomparse. Semplicemente la netta distinzione tra categorie non è stata così determinante come invece lo è tuttora la predisposizione all’ascolto e la conoscenza della buona musica. Tuttavia non appena ci si rende conto che la creazione artistica può essere formalizzata, programmata e sottoposta a procedimento meramente matematico, tutti quei segreti che avvolgono l’arte svaniscono, ed essa perde sia la sua funzione di sostituta della fede – che in qualche caso ancora adempie -, sia la sua prerogativa di proliferazione culturale e sociale. La qualità globale della creazione artistica, in particolare fella musica popolare, e di ciò se ne può rendere conto chiunque abbia tanto una buona preparazione culturale quanto una discreta capacità critica di giudizio, si è ridotta drasticamente. Questa è una sofferenza per chi è nato con l’educazione al rispetto nei confronti dell’arte, o per chi ha la consapevolezza che i suoi padri, intimamente, sono quelli dell’antica Grecia. L’arte provoca effetti benefici che non possono essere descritti scientificamente. Inoltre, per i fautori della Buona Musica, ogni opera è un richiamo ad un’epoca storica; dal suo ingresso, con l’età di nascita del suo autore, passando per l’età della composizione e all’anno della pubblicazione, riguardo opere sopravvissute anche al passaggio ad una nuova era, ci dice che l’evergreen di certe sonorità, nella loro intramontabilità ci appaiono come eterne – in quanto è generalmente in questa forma che vengono maggiormente apprezzate – perché suonano creando delle invisibili (ad occhio umano) ma percettibili al genere umano, onde sonore che descrivono un pathos sempre rinnovato nella sua fluidità uditiva e sempre autentico, vero, nella spiritualità che emana. Naturalmente può divenire anche fonte di espressione dell’armonica (e invisibile alla vista) magia che nutre l’intuizione, nonché, il senso intangibile del divino che vive in ognuno di noi. Altri ancora sono propensi a considerare la potenza evocativa della musica come la manifestazione armonica di vibrazioni che rivelano la capacità delle onde sonore di creare particolari energie, la cui potenza evocativa risiede nello spirito, come nel pathos che è in noi, ed è noto che possieda la prerogativa di creare la necessaria evoluzione interiore; di conseguenza, utilizzando un’espressione già espressa in precedenza, ciò consentirà ad ognuno di elevare se stesso/a ad un livello di consapevolezza tale che il suo dna potrà vivere sintonizzato sulle frequenze benefiche del cosmo; di conseguenza l’essenziale sarà proiettato nel futuro in modo positivo e, nondimeno, propositivo. Lungo il corso dell’esistenza, in alcuni periodi può limitarsi ad una sintesi estemporanea di uno o più stati d’animo, mentre per chi ha non un’unica affinità ma una forma di reale empatia con l’universo armonico dal quale nasce il pathos, riesce ad andare oltre le consuete frequenze di ascolto. Per altri la musica può rappresentare il viatico di un’armonia molto più amplificata. Tuttavia può anche essere percepita come l’evocazione di un vissuto che spazia dal passato più arcaico alla compiutezza dell’era contemporanea; dalle ere più lontane alla manifestazione del vissuto ideale; come anche l’intuizione di una visione futuristica talmente avveniristica che merita di essere pubblicata e/o rappresentata in scena. In questo senso unisce e armonizza il bene e il progresso, quindi il bene e il progresso dell’umanità. Il livello di vibrazione armonica è sempre commisurato alla sensibilità e alla percettibilità, ed è tutto talmente soggettivo che possiamo persino ritenerle entrambe facoltà necessarie al pari di alcune prerogative ineludibili, poiché le esigenze sonore di ognuno sono totalmente personali: in special modo per quanti sono presenti a sé stessi in modo consapevole e senziente. E semmai alla fine di un brano ci sembrasse di percepire che armonicamente tutto si dissolve, è probabile che il brano successivo, con tutta la proiezione del suo carico ancestrale, possa assumere i contorni di quel soffio vitale che conduce alla manifestazione di un’intuizione. Di conseguenza l’arte della Musica, in alcune circostanze, per i suoi fruitori diviene luce riflessa, e la si rinviene ovunque ci sia l’attitudine a percepire l’essenziale che è possibile cogliere oltre il livello emozionale. Tutto ciò vale sia per le grandi opere sia per le canzoni di facile fruibilità. Riguardo quest’ultima dimensione, Neil Young si esprime in questi termini: “Vi siete mai domandati cosa serve per fare una canzone? Vorrei tanto potervi dare gli ingredienti esatti ma non mi viene in mente nulla di specifico”. A prima vista è una risposta curiosa per un cantautore / musicista / interprete che ha scritto centinaia di brani, molti dei quali sono divenuti dei successi internazionali. Sembrerebbe che non ci sia una formula precostituita, né quindi gli strumenti dell’arte per creare a mestiere una formula vincente. Ciononostante, secondo la sua esperienza, sembra esserci qualcosa che funzioni al di là delle molteplici possibilità di sperimentazione. La sintesi di questo concetto sembra riassumersi in alcune semplici espressioni, tanto essenziali quanto significative: “A me pare che le canzoni siano il prodotto dell’esperienza, un allineamento cosmico delle circostanze. Ovvero, chi sei e come stai in quel dato momento.” Ovviamente, tutta la musica di qualsiasi compositore è sempre stata influenzata dalla vita privata nonché dalle situazioni in cui si trovava mentre componeva. Quando la musica era composta soprattutto su ordinazione e il suo carattere generale era quindi deciso in anticipo dal compositore, la condizione mentale di quest’ultimo lo portava inevitabilmente a scegliere certi generi di melodia, certi meccanismi ritmici, certi modi o certe tonalità una certa espansività o concisione. Ma allorché i compositori cominciarono a creare musica o perché avevano bisogno di guadagnare o perché erano spinti da un impulso interiore – Handel o Beethoven furono tra i primi a comporre principalmente per tali ragioni – allora le forme scelte erano imposte, con o senza la loro consapevolezza, quanto meno in parte, da fattori musicali inerenti al loro temperamento e alla loro vita quotidiana. [Herbert Weinstock, “What music is”, 1953, 1966; ital.. “Cos’è la musica”, Oscar Mondadori Editore, 1969]. Tuttavia la musica di per sé stessa è qualcosa che pur rientrando nelle dinamiche dell’esistenza va oltre tutto ciò. Come ampiamente descritto da chi aveva una visione olistica della vita: “Non è sufficiente il fatto che agli uomini e alle donne il benessere si offra soltanto come progresso materiale: al presente, molte persone provenienti dalle classi benestanti non forniscono nessun contributo apprezzabile alla vita sociale, per quanto abbiano grandi possibilità di farlo, spesso non riescono a procurare neanche a sé stesse qualcosa che possa definirsi come una forma di felicità personale. […] Coloro che riescono a far fruttare la propria vita per sé stessi, per i loro amici, per il mondo, sono animati dalla speranza e sostenuti dalla gioia: nella loro immaginazione essi vedono ciò che potrebbe essere realizzato, e si sforzano di studiare il modo di metterlo in pratica. Nelle loro relazioni personali non si lasciano prendere dall’angoscia di perdere l’affetto e il rispetto con cui sono considerati: essi si sentono impegnati nel dare agli altri affetto e rispetto, e la controparte viene da sé, senza che debbano cercarla. […] Una vita vissuta con questo spirito – di creazione più che di possesso – ha un suo fondo di letizia, che le circostanze più avverse non possono scalfire in profondità. […] Non esiste un “sistema” che possa far fiorire l’arte: solo la libertà produce questo risultato”. [da Strade per la libertà, di Bertrand Russell, ed. Newton Compton, 1971; tit. orig. Roads to freedom]. A tale proposito vale la pena ricordare che la natura dell’essere umano non è un semplice consumatore, ma è un essere dotato di un insieme di facoltà, le quali hanno in sé, nello stesso impulso che le muove ad attuarsi, la legge del loro uso: i cinque sensi (vista, udito, olfatto, gusto, tatto), Il pensiero e i sentimenti, il sistema riproduttivo, le percezioni sensoriali. Un tempo Aristotele concepiva le disposizioni o facoltà come principio di legittimazione dell’etica, asserendo che essa stessa non può aspirare al rigore della geometria ma alla legittimazione dell’etica in sé certamente sì. Premesso che il termine ethikos deriva da ethos, che significa “comportamento”, “costume”, in termini aristotelici equivale a quella parte della filosofia che studia la condotta dell’uomo e le sue relative norme di vita. Pertanto, in termini logici, la condotta dell’uomo è dettata in primis dalle sue facoltà naturali. È quindi con Aristotele che per la prima volta si acquisisce la consapevolezza dell’etica fondata sulla natura. È bene ripeterlo: il termine natura ha il duplice significato di “principio che muove ciascun individuo – e le sue relative facoltà – dall’interno”, ed anche “la totalità del cosmo dal cui ordine tutti quei movimenti e quelle tendenze dipendono”. Solo nell’ottica di questa fondazione naturale dell’etica aristotelica si considera valido il concetto platonico della contemplazione delle idee: poiché la facoltà più alta dell’uomo è il pensiero, il sommo bene, la perfezione e la felicità per l’uomo consistono nell’esercizio del pensiero; il quale – sempre secondo Aristotele – ha la dignità più alta quando si applica agli elementi più alti, ovvero al divino”. Il fluido della sensibilità divina, ad esempio, riemerge in noi in maniera naturale quando è sintonizzato con un particolare pathos, il quale tramite il sistema ricettivo ci dà una particolare conoscenza; tanto più è immediato quanto più coincide con quello che arriva ai nostri cinque sensi, dandoci quindi la conoscenza immediata ed intuitiva. Il fluido della sensibilità che investe uno dei nostri cinque sensi, ad esempio, possiamo ravvisarlo nella Musica: da alcuni nostri illustri predecessori considerata la più importante delle sette arti liberali al pari dell’astronomia.


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