Richard Benson is dead
Richard Benson is dead?
Il suo istinto gli ha detto BASTA! Un basta che ci fa male. C'è dolore.
Sul giubbotto di pelle, adornato di lapislazzuli al posto delle borchie, come un faraone Richard è pronto a varcare la soglia dell'altra dimensione, anche se vorremmo visionare la salma con la speranza che sia l'ennesima mistificazione del nativo di Woking. E però sembra di no, questa volta la commedia sembra regolare.
C'è sgomento nell'aria, c'è malinconia più che tristezza. Già manca Philip Henry John, e molto. I depistaggi che non ci saranno più, i contropiedi che non ti coglieranno più, un surrealismo de noantri farcito da millenaria storia imperiale che, distorta, si tramanderà ai posteri in forma orale, d'altronde ha preso da su' nonna.
Il tam tam della dipartita rimbomba su tutte le forme e piattaforme con sospiri, lacrime, rimembranze, ricordi e il non voler cedere da parte della Richard milizia, almeno a caldo, ad aspettare l'evanescenza delle sue verità. Le canzonature dei supporter cercano di preservare, ancora per qualche momento, la trasformazione della percezione di Benson che verrà, e che inevitabilmente si cristallizzerà sul libero lancio di ortaggi e su epitaffi tipo "Benedetto il giorno che t'ho incontrato".
Più che un minuto di silenzio, una pennichella senza sogni, sperando di svegliarci dal riposino e vedere Richard che ci fa l'ennesimo cucù Ottava Nota, e per un momento convincersi che è l'ennesima boutade. Ma questa volta non è così, si sente nell'aria che non c'è più, che non ci "spaventeremo" più, che rimanderemo ancora il momento di diventare vegetariani perché avremo sempre davanti a noi quel pollo.
Con quella sua estetica da borgata aliena è stato un anti maestro che "progressivamente" ha portato le sue matrioske a zonzo per più di cinquant'anni imbucando per ogni decennio il suo "teatro da sogno" trasteverino invitando tutti a bere una gazzosa sul parapetto di ponte Sisto.
E le invidiose obiezioni dall'esterno lasciano il tempo che trovano incenerendosi miseramente in chiacchiericci gallinacei. E che cosa vogliamo contestare ad uno che ci ha regalato la sua autodistruzione cosciente, da Cristo Canaro che era, risvegliando compassione per il bastardo che è in noi, aiutandoci ad accettarlo succhiando olio di croce. L'elisir risveglia la consapevolezza di aver capito di non aver capito un cazzo, come al solito, (Gianni) Neri regali per futuri funerali.
Ed è tutto un tourbillon di premonizioni dove le "conseguenze della Pasqua" ci portano la dipartita fisica del "parrucca", dove, sì, manco er Tevere t'ha voluto, ma le porte di un Simposio del Metallo domiciliato a via delle Albizzie si sono aperte in un (D')abbraccio che ha fatto onore al tuo labbro leporino ricucito alla bell'e meglio, dove la cicatrice interna l'hai sentita sugli incisivi finché li hai avuti.
Non ci preoccupiamo del lascito storico dei tuoi mille giubbotti, sappiamo che come hai saputo conservare una freschezza del gesto gratuito, la canfora (o era il fico sacro?) che hai messo nell'armadio ha allontanato le tarme che attentavano alla tua "giovinezza". Ma grazie a te e con te avremo diciott'anni per sempre, PER SEMPRE!
E dalle ossa dei morti gettate contro il nemico, l'orda dei fan(cazzisti) che ti ha seguito anela ad una tua reliquia, avendo la sicurezza del tuo stato di miroblita che bai-passerà la putrefazione. E la saga costruita su altari fatiscenti miracolosamente tiene la baracca in piedi con quelle accelerazioni al pari del fantomatico pick fall che, come il terzo segreto di Fatima, non ci è mai stato concesso di cogliere, data l'inusitata velocità d'esecuzione.
È che, se a nessuno gli va di fare l'infermiere, nessuno più ci sarà come lui. Ci ha fatto capire di sottrarsi alla schiavitù di essere sempre gli ultimi, quelli in fondo, quelli che in branco si sentono forti, spronandoci a salire sul palco da soli, DA SOLIIIIII!!!, come lui, senza paura, ha sempre fatto.
E anche se ci si districa dai perfidi lacci, il nodo Gordiano permane serrato nello basculare tra realtà e finzione e un documento ufficiale che comprova la vera identità non fa altro che gettare benzina sul fuoco di un delirio di delay richiesti su base di carrellate infernali di stati impervi scatenati dalla cicoria raccolta nel campo antistante la casa a Casal Palocco, agli albori della programmazione della carriera trash capitolina.
Ed è certo che con quell'erba non si va al bagno diecimila volte che per assurdità stimola un anti mistificazione di auto censura su poteri acquisiti dichiarando addirittura in una trasmissione Rai di non poter fare il "doppio corpo", quando testimoni hanno assistito al miracolo di ubiquità di Benson quando contemporaneamente rilasciava un'intervista a Roma e suonava in concerto in Canada davanti a centomila persone. C'è umiltà anche da parte nostra a stare al gioco e non mandarlo mai a "Vancouver".
Ma se uno tira giù una candida Trinità di: "e adesso ritorniamo a noi", "andiamo avanti", "mah, comunque", dopo trasmissioni da urlo e scleri inusitati, come non idolatrarlo mettendoci alla finestra "come un cane che si siede all'ombra di un cipresso guardando il padrone, morto".
Lui, infante, è stato alla festa della morte di Brian Jones; lui da trent'anni sa qualcosa su Paul McCartney e non lo può dire; lui dice le storie "vere"; lui sa il perché è venuto al mondo; solo lui può avere come amico Leon Neon e solo lui ha visto la cresta color platino; lui vuole solo dire la realtà; a lui sono arrivati i poteri (terribili); lui non è diventato un "avocato" di prim'ordine; lui è da Hollywood; lui ha sfilato dalla roccia il bastone infernale.
E quando parte "chi cazzo l'ha detto Pappalardo", è la fine, è l'Armageddon dove: lavora tu vecchiaccia che c'hai la pelle dura, io so' creatura, non posso lavora'. E noi, cuccioli, con le orecchie allenate a sentire il rumore delle lacrime degli altri, imperterriti continuiamo a senti' i dischi.
Non c'è proselitismo perché noi non siamo niente senza di te, quel piano superiore "non ci si compete", c'è una comunella di un "si salvi chi può" tra schifosi consapevoli che mai saranno "figli dei rampolli", dove donne cane incravattate con la voce da uomo ci comunicano messaggi escatologici dove "l'Alpheus aveva il quarto del pienone che avevo io", dove al tuo matrimonio con Ester in mise da cappellaio matto eternizzavi che la tua trasmissione si deve guardare pure in punto di morte, perché ti dà l'energia per ritornare alla vita.
Quanto costano gli ellepì lassù, ancora 2.750 lire come nel 1965? L'inferno dei vivi sta tutto nel capire che non puoi evitare di diventare un drogato anche "con studi a Boston", aveva ragione Eric Clapton.
Buon vecchio Richard ci sei mancato da vivo, figuriamoci da morto: "... e soffrite, soffrite. E fate scendere almeno una lacrima sulla guanscia. CIAO".