Tre /r/ francesi per la Musica Emergente

Mi piace la musica emergente. Mi piace perché può permettersi alcune libertà che non sono concesse alla musica generalmente passata dalle radio. Appartiene ad una aliena fabbrica di Willy Wonka, dove si producono le più strane creature del Cosmo Delle Sette Note. Alcuni prodotti sono totalmente estranianti, altri hanno la grazia di un arrangiamento essenziale e rimandano al miglior cantautorato degli anni ’70. Alcuni personaggi compaiono e scompaiono; cadono per caso nella immensa officina, come anime di suicidi pronte a trasmutarsi in rovi essiccati. Altri insistono, anche se non raggiungeranno mai la vasta platea cui aspirano e, certe volte, sono visti di lontano, come quando l’emisfero nostro annotta e par di lungi un molin che ‘l vento gira.

Recentemente mi sono imbattuto in tre brani, e in tre provetti cantautori, che mi hanno affascinato. Denominatore comune: la polivibrante alla francese (la pocovibrante o la pocoarrotata).

“Ciao, sono AleXimone, cantautore. È appena uscito il mio nuovo singolo Lucustar, una conversazione tra me e una dolcissima locusta. Oppure è una donna?”

Tra i tre, dobbiamo dirlo, è quello dalla /r/ più vigorosa. Sento la sua voce annunciare il suo stesso brano e resto affascinato dalla sua prosodia. Mi sembra di ascoltare un messaggio che arrivi dalla lontana Transilvania e mi domando se una qualche creatura della notte, se un qualche vespertillo mutaforma abbia deciso di smettere le sue infime raccolte ematiche per guadagnarsi onestamente da vivere, non succhiando sangue, ma cantando. Chiariamoci: non ho intenti parodistici. Davvero ho subito una certa fascinazione da questa voce con un qualche impasto tenebroso. Soprattutto, mi è venuto naturale domandarmi: “una conversazione tra me e una dolcissima locusta? Ma…davvero?”. La presentazione, e l’idea, non potevano che suscitare curiosità. Poi sono andato a sentirmi altri brani di questo AleXimone. “Marshmallow e l’agente immobiliare” mi ha divertito enormemente.

Passiamo, ora, alla /r/ francese più raffinata delle tre. “Zucchero, pane e ciliegie” di Patrizio Maria. Questo è uno di quei brani che fanno ringraziare le leggi universali per aver concesso l’esistenza della musica emergente. “Zucchero, pane e ciliegie” è un pezzo essenziale. È essenziale nell’arrangiamento ed essenziale nel suo titolo. “Zucchero, pane e ciliegie”. È una di quelle combinazioni così ridotte all’osso da suscitare istintuali lacrime. L’ultima volta che ho pianto pensando ad un sintagma, avevo sentito in un brano, cantare, per un compagno disperso al fronte, “ti ho lasciato sul tavolo dell’acqua e del miele”. Patrizio Maria, tuttavia, non ha voluto comunicare solo la archetipica istintualità al pianto, suscitata da quelle cose che ci suggeriscono la più basale ed originaria necessità di accudimento. In “Zucchero, pane e ciliegie”, c’è spazio anche per una simpatica invettiva:

“Ferie d’aprile, ferie d’inverno,

ferie ogni giorno come quelli al governo!”

Da quando ho scoperto questo pezzo, non smetto di ascoltarlo.

L’ultima flebile /r/ di questa piccola carrellata, l’ho trovata in “Perdono”, di Orlando Ferrari.

“Mia madre mi presenta a cento dei suoi amanti,

mio padre mi educava solo con le mani

ed io mi consolavo stringendomi al mio cane

che era di peluche però sapeva amare”

Davvero, questi versi sono un colpo al cuore. Pensate ad un bambino che non trova né nel padre, né nella madre, il sostegno di cui necessita ogni essere umano in fase di sviluppo. Pensate al fatto che solo un peluche riesce a trasmettergli amore. Pensate, infine, che gli oggetti inanimati possono avere personalità, ma sono proiezioni della nostra coscienza. La conseguenza deduttiva è lapalissiana: l’aver scoperto in tenerissima età come, in questo mondo, la sola entità su cui possiamo contare siamo noi stessi.

Zucchero…pane e ciliegie…

Dell’acqua e del miele…

Ditemi nei commenti, quale di questi brani vi ha colpito maggiormente, se vi va. Attendo di leggervi!


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