MEMENTO MORI - L'accettazione della morte segnerà la fine della pandemia

Premessa: so che questo articolo potrebbe apparire estremamente cinico e agghiacciante, che potrebbe anche urtare la sensibilità di qualcuno, in realtà non lo è affatto perché non fa altro che delineare una nuda e cruda verità sull’essere umano; è un invito a riflettere e a rivedere alcuni aspetti della nostra psicologia.

La pandemia di Covid-19 ha infatti messo in luce più che mai una verità assolutamente scomoda, non nuova ma mai troppo sbandierata fino ad ora: l’uomo non sa accettare la morte e la malattia, non sa convivere pacificamente con la loro natura.

Siamo tutti d’accordo, morire non è bello, anzi è bruttissimo, quindi ben venga la prudenza, le cure, i vaccini, la vita sana, la limitazione dei rischi e tutto ciò che può ritardarla il più possibile… Però è una cosa naturalissima, una delle cose forse più naturali del mondo, la fine ovvia di un ciclo vitale. Invece viene vissuta come una tragedia, come un fatto gravissimo, tanto grave da arrivare a condizionare le scelte umane, a costituire un freno alle azioni e a prendere decisioni drastiche e spesso esagerate.

Ricordo ancora quando morì Giovanni Paolo II, ma anche i giorni immediatamente precedenti. A parte che da ateo e antireligioso mi verrebbe da dire “ma chi cazzo sarà mai il Papa?”, ricordo comunque come tutto fu fermato, trasmissioni televisive, persino i campionati di calcio, così come ampie porzioni di stampa dedicate all’agonia del Pontefice… che non era ancora morto, solo tremendamente sofferente. Ricordo poi come il funerale paralizzò l’intero palinsesto, tutte le emittenti televisive collegate col Vaticano, persino MTV che di solito si fermava massimo 5 minuti per il notiziario. Mi viene da domandarmi… In un mondo più consapevole della mortalità e della fragilità umana verrebbe mai interrotta la vita e verrebbe mai fermato il calcio e il palinsesto televisivo solo perché il capo di una confessione religiosa che non interessa necessariamente a tutti sta morendo perché ormai vecchio e malato?

Ho visto poi un simile copione ripetersi in occasione dell’agonia di Nelson Mandela. Clima di apprensione generale e manifestazioni disperate, preghiere con invito a restare in vita ancora a lungo, tutte manifestazioni che sembravano delineare il profilo di un’umanità che non voleva proprio accettare che un uomo di 95 anni ormai malato si stesse spegnendo.

Il top della non accettazione della morte però lo raggiungiamo con i casi di finte vite prolungate all’infinito. Da Eluana Englaro a Welby fino a Dj Fabo, persone la cui vita si era ridotta all’impossibilità di fare qualsiasi cosa, una non vita che loro stessi erano volenterosi di interrompere… e invece no, la si voleva portare avanti anche quando non aveva più nulla da dire, quando non era vita; non si vuole accettare la morte nemmeno quando questa è già cosa concreta, si preferisce una non vita sofferta a una dolce morte, la morte è così un tabù che piuttosto che incontrarla meglio triplicare le sofferenze.

Ed è un tabù anche solo parlarne o accennarla. Attingendo dalle esperienze personali ricordo quando da piccolo si giocava al gioco dell’impiccato o degli anagrammi e venivo fortemente stigmatizzato quando facevo indovinare ai parenti parole come “ambulanza” o “ospedale” (“dai, non sempre parole brutte” dicevano); come se ai bambini si volesse nascondere la triste verità, come se ai bambini si dovesse dire che tutto è bello, che le cose brutte non esistono, poco importa se poi cresceranno in un mare di illusioni e non sapranno digerire le sconfitte della vita.

Ma veniamo ad oggi. In definitiva però la pandemia di Covid-19 è un lampante esempio di non accettazione della morte e addirittura semplicemente delle malattie, e a mio avviso è la sola cosa che nel lungo periodo ci impedirà di dichiarare finita l’emergenza. Finché non disponevamo dei vaccini l’emergenza aveva senz’altro senso, avevano senso le mascherine, aveva senso il distanziamento, il non incontrarsi se non necessario, aveva senso il lockdown ferreo. Perché si era tutti in una situazione di grave rischio, di rischio inaccettabile, una situazione in cui facevi un passo sbagliato o di troppo ed eri morto; una marea di gente che stava bene ed improvvisamente si ritrovava con un tubo in gola solo per essere stata a cena con gli amici o a sciare, come se ogni attività sociale fosse improvvisamente diventata uno sport estremo; e succedeva a tante persone in breve tempo, tanti personaggi famosi ricoverati nel giro di pochi mesi non si erano mai visti.

Poi sono arrivati i vaccini che hanno reso la malattia sostanzialmente leggera, col tempo lo stesso virus è diventato più leggero seppur molto più contagioso, non si sente praticamente più notizia di un personaggio famoso che viene ricoverato per Covid, abbiamo visto poi ammalarsi un sacco di amici e parenti ma è stata per tutti un’influenza o poco più, il ricovero o peggio la morte è ora una fatalità che riguarda fondamentalmente le persone più fragili. Eppure nonostante tutto il Covid continua a venirci presentato come se fosse la peste, reclamando prudenza come se ancora si rischiasse la morte sul colpo, menandola ancora con mascherine e distanziamento, mostrando timore nel rimuovere restrizioni draconiane ormai non più commisurate al rischio... anche se siamo vaccinati.

Ancora oggi sentiamo ai telegiornali titoloni allarmanti del tipo “oggi superati 100.000 contagi, aumenta il tasso di positività, aumentano i ricoveri, più di 100 i morti”, “tragediaaaaa” aggiungerei io, arriva poi il virologo di turno che fa la sua solita retorica sulle mascherine, sul distanziamento, sulla presunta pericolosità dei grandi eventi; mai una volta che vengano sottolineati gli aspetti positivi, tipo che una buona fetta di accessi in ospedale non avvengono per Covid ma i pazienti scoprono di averlo dopo il tampone (scorporarli dal computo totale no eh?), che i ricoveri per Covid riguardano in gran parte persone già dotate di fragilità pregressa e/o particolarmente anziane, che una fetta di persone ricoverate non erano vaccinate (e qui direi “chi è causa del suo mal pianga se stesso”), e che in ogni caso i numeri sono molto lontani da quelli delle ondate pre-vaccinali. Come se non bastasse ogni caso di positività di un personaggio della televisione, della politica o dello spettacolo viene spiattellato con un altro titolone ad effetto “Tizio è positivo al Covid”, “Caio è positivo al Covid”, poco importa se questi è vaccinato con tre dosi e pertanto ha i sintomi di un raffreddore o l’ha scoperto per caso in uno screening, per i giornali è un fatto grave e clamoroso come se avesse contratto la peste. In alcuni casi lo stesso contagiato ne approfitta per fare retorica insopportabile, da Lilli Gruber che si mette ad elencare tutti i sintomi e dice di essersi pentita di alcuni comportamenti spavaldi (gli abbracci) manco si fosse buttata da un ponte fino alla concorrente di Amici che raccomanda le mascherine. Poi c’è Selvaggia Lucarelli che attribuisce i morti alla mancanza di buonsenso e viene raggiunta da trafile di commenti di persone che raccontano di essere state malissimo nonostante le tre dosi di vaccino, come se le influenze nelle passate stagioni fossero delle passeggiate di salute…

Una modalità di comunicazione che non può che riflettersi sui comportamenti del popolo. All’abolizione dell’obbligo di mascherine ancora più di metà di chi entrava all’Esselunga dalle mie parti la indossava, ma anche sui social trovi una mega-trafila di persone che dicono “continuerò ad indossarla".

Il messaggio che con questa comunicazione può passare è: “Cosa l’abbiamo fatto a fare il vaccino se poi devo comportarmi ugualmente come un appestato? Io speravo che dopo il vaccino mi sarei sentito sicuro, non più a rischio”, un messaggio che può contribuire a creare una nuova e fitta schiera di ipocondriaci; ma è anche un messaggio che può addirittura diventare un boomerang e risultare potenzialmente pericoloso e in grado di nutrire la già sostenuta schiera no-vax: “Cosa vi siete vaccinati a fare che tanto vi state tutti ammalando e morendo lo stesso?” (senza nemmeno saper interpretare e confrontare i numeri)…

Quello che poi ho notato è che al verificarsi di un aumento significativo dei contagi e dei morti l’apparato politico-sanitario tende a scaricare le colpe in maniera generale e non mirata, così che anche il popolo più civile ed educato - quello che si è regolarmente vaccinato e nelle fase più acute della pandemia (quelle precedenti al vaccino) ha rigorosamente rispettato le regole - finisce alla gogna solo per il fatto di essere tornato meritatamente alla normalità: se muoiono le persone fragili o non vaccinate la colpa è automaticamente di chi è andato a vedere Vasco o il Palio di Siena; anche le varie misure intraprese nella fase post-vaccinale sono sempre state generalizzate quando potevano benissimo essere mirate: anche dove l’ingresso era consentito con green pass rafforzato… ingresso contingentato, mascherine e distanziamento sebbene praticamente nessuno rischiasse davvero la polmonite interstiziale. Inutile dire che questa tendenza a scaricare le colpe sulla popolazione è un modo per nascondere le proprie mancanze nella gestione della pandemia: voi che rompete le balle ai vaccinati solo perché gli ospedali vanno ancora sotto pressione (cosa che tra l’altro avveniva anche durante i picchi influenzali negli anni passati ma la cosa faceva meno notizia) cosa avete fatto per aumentare i posti letto ed il personale? Cosa avete fatto per evitare le eccessive code al pronto soccorso? Cosa avete fatto per somministrare gli antivirali ai più fragili (evitando un sacco di ricoveri) ora che sono disponibili? Cosa avete fatto per proteggere i più fragili ed anziani (dato che attualmente la pandemia vera e propria è la loro)? Cosa avete fatto per alleggerire il lavoro dei medici di base? E perché non avete avuto il coraggio di introdurre a livello generalizzato l’obbligo vaccinale (dato che la quarta ondata è stata fondamentalmente quella dei no-vax)?

Tuttavia la cosa più paradossale è un’altra. Ho appena detto che non si riesce ad accettare la morte… ma in questo strano periodo storico sembra che quella per Covid-19 sia praticamente l’unica a non venire accettata facilmente, l'unica a far notizia. Ogni giorno muoiono chissà quante persone per i più svariati motivi, infarti, tumori, ictus, incidenti, diabete, ecc… ma quelli gravi, quelli da spiattellare su ogni giornale sono solo quelli di Covid. E così solo per evitare i morti di Covid si prendono misure drastiche, e per evitare tutti gli altri? Vittorio Sgarbi durante il primo lockdown evidenziò più volte come non avesse molto senso lasciare aperte le tabaccherie che ogni anno si rendono responsabili di decine di migliaia di decessi per tumore al polmone; sì, ok, l’obiettivo del lockdown era fermare la diffusione del contagio ed evitare la saturazione degli ospedali, ma dato che in ballo c’era anche il salvataggio di numerose vite permetti che è incoerente salvare la gente dal Covid e permettere il fumo di sigaretta. Fatemi capire bene, quindi esistono morti di serie A e morti di serie B? Decessi che devono tassativamente essere evitati e decessi che invece possono continuare a conteggiarsi indisturbati?

Credo comunque che dietro a questa rinata fobia della morte e della malattia ci sia dietro una ragione ben precisa: ci siamo abituati piuttosto bene. Veniamo da un secolo (facciamo meno, 60-70 anni) relativamente e sorprendentemente sano (chiaramente grazie ai progressi della medicina), con la speranza di vita in costante crescita che è arrivata a superare gli 80 anni, ma quest’ultimo periodo storico è a pensarci bene un’anomalia assoluta in centinaia di migliaia di anni di storia dell’umanità. Ci sembra scandaloso che un virus respiratorio provochi un aumento della mortalità ma ci dimentichiamo che fino a non molto tempo fa si moriva di punto in bianco di tubercolosi, di morbillo, di vaiolo, di peste. Ci siamo spaventati per 100.000 morti in più a fine anno nel 2020 ma è niente in confronto alla peste del 1630 che fece fuori circa un quarto della popolazione del Nord Italia o il vaiolo che sterminò letteralmente le popolazioni azteche nel '500. Inoltre, in aggiunta al periodo storico, ci troviamo anche in un’area geografica piuttosto sana; in Africa è quasi normalità ammalarsi o addirittura morire di malaria, HIV, tubercolosi, colera, ebola, e un'aspettativa di vita superiore agli 80 anni se la sognano, in molti paesi appena appena supera i 50 anni.

E quindi cosa dobbiamo fare per considerare conclusa questa pandemia? Chiuderci in casa a fasi alterne? Portare quelle orrende pezze sul muso che non ci permettono di guardarci in faccia e di sorriderci (oltre che di respirare decentemente) e che ci fanno sembrare degli omini stilizzati inespressivi che camminano? Vivere al 30%? No, semplicemente vivere normalmente come prima ed accettare il fatto che si è aggiunta un'altra malattia e un'altra causa di morte, limitarsi a fare i richiami vaccinali quando necessario ma accettare il fatto che qualche persona in più a letto influenzata ci sarà, che qualche persona in più in ospedale ci sarà, che qualche persona fragile o anziana in più morirà e che il conto dei decessi ogni anno sarà un po' più salato. Recuperare quella mentalità un po' più fatalista e darwiniana che abbiamo perso per strada. Anche perché ora non è più possibile sfuggirne, non possiamo più evitare quel numero di malati e di morti in più, l'unica soluzione sarebbe chiudere tutto ogni volta come la Cina, affossando l'economia e causando la morte economica e psicologica delle persone che fa forse più male di quella fisica. E in ogni caso il meccanismo darwiniano del più forte, in questo caso del più debole che non sopravviverà, ci sarà sempre, è sempre esistito in natura e anche con tutti i vaccini e le medicine del mondo non si può in alcun modo annullarlo, dobbiamo solo accettarlo.

L'unica persona che l'ha capito ha un nome e cognome: Boris Johnson. Assolutamente sciagurata l'idea di puntare sul'immunità di gregge a marzo 2020, siamo tutti d'accordo, idea perversa, irraggiungibile ed ingestibile, per fortuna subito abbandonata. Ma poi, conscio del fatto che il problema di fondo era la mancanza di un vaccino, una volta reso il vaccino disponibile ha avviato una rapida ed efficiente campagna vaccinale. Però una volta vaccinata una grossa fetta della popolazione ha saputo dire basta, non c'era più necessità di limitazioni alle abitudini della popolazione, una popolazione vaccinata è da considerarsi sicura e non deve subire più limitazioni, via così tutte le restrizioni, si punta tutto sui richiami vaccinali, partendo ovviamente dai più fragili, per il resto se c'è qualche ricovero o morto in più è normale e non si può fare molto. Col risultato che il Regno Unito non si è più trovato nella condizione di dover richiudere, quasi a dimostrazione che le restrizioni successivamente adottate dal resto d'Europa sono state dettate più dalla paura che da altro (gli stessi britannici hanno ripristinato le mascherine nei negozi nel periodo dicembre-gennaio, ma più che altro perché la paura fa 90).

Morale della favola: se impariamo ad accettare un po' di più il nostro destino la pandemia è già finita da mesi, se non lo facciamo la pandemia dura altri 10-20 anni. Ora e più che mai: MEMENTO MORI!


Carico i commenti... con calma