White Queen: un ascolto che ha molto da insegnare

Non ricordo come sia nata la mia passione per i mitici Queen, ma posso garantire che è una passione che mi accompagna sin da quando facevo le superiori. Prima di entrare nel vivo di questo editoriale, vorrei fare una premessa importante: non faccio (né farò mai) fan service, questo è bene che sia sempre assolutamente ben chiaro: non è nel mio stile scrivere delle cose per far scatenare i bimbominkia o/e che ascoltano i Queen, i Jethro Tull o/e i Tool per moda; la ragione per cui scrivo è per fare pura e semplice divulgazione. Per cui, se non vi piace quello che scrivo, il mio stile e il 'taglio' divulgativo, ignorate questo editoriale.

In questo editoriale parlo di una delle più grandi band pop-rock del mondo: i Queen, ovvero la formazione storica che vedeva Brian May, Freddie Mercury (R.I.P.!), John Deacon e Roger Taylor uniti in un sodalizio umano e artistico unico che, come sappiamo, ha lasciato il segno nella storia della musica. Ma vediamo veramente di capirci. Come hanno fatto a lasciare il segno? È presto detto: con le loro caratteristiche peculiari, ovvero: la grande voce di Freddie Mercury, la chitarra taglientissima di Brian May (che nelle canzoni dispensa assoli davvero incredibili, basti ascoltare The Invisible Man), la batteria potente ma mai aggressiva di Roger Taylor e il basso essenziale (ma assolutamente rifinitissimo) di John Deacon. Il loro esordio discografico avviene nel 1972 con l'album Queen, grande disco di pop rock in cui i Queen iniziano a porre le basi per la definizione del sound che diverrà marchio di fabbrica della band inglese; su questo album spiccano canzoni come Keep Yourself Alive (che verrà successivamente missata in modo leggermente diverso), Liar e la versione riarrangiata del classico degli Smile (band in cui suonavano Brian May, Roger Taylor e Tim Staffel) Doing Alright, che può tranquillamente essere considerata come un vero e proprio brano prog, proprio per i suoi fulminei cambi di tempo. Il 1974, invece, è l'anno di uscita di due dischi che sono diventati dei veri e propri mastodontici super classici del genere, ovvero Queen II, grande album pieno di suggestioni tipiche del buon rock progressivo, e di Sheer Heart Attack, album molto importante in cui i Queen continuano a inserire degli elementi tipici del prog.

Ed eccomi arrivato a due mastodontici capolavori, usciti ad un anno di distanza l'uno dall'altro: A Night At The Opera (1975) e A Day At The Races (1976): qui si nota un netto distacco rispetto ai primi album. Infatti, qui la band ha già ben chiaro il suo sound, ma non rinuncia alle sperimentazioni. Basti ascoltare ad esempio The Prophet's Song, You Take My Breath Away, fantastico pezzo acustico che mettono in luce la solidità della tecnica pianistica di Freddie e la limpidezza, l'asciuttezza e l'assoluta pulizia delle parti di chitarra di Brian May.

Il 1977 è l'anno di News Of The World, uno degli album più importanti dei Queen, pieno di super classici: We Will Rock You, We Are The Champions, Spread Your Wings, All Dead All Dead e Fight From The Inside. Le uniche canzoni davvero deboli sono Sheer Heart Attack (brano che era stato pensato per il disco omonimo, ma a causa del fatto che il lavoro su questa canzone si è protratto più a lungo del previsto, è stata inclusa nel sesto album della band), Sleeping On The Sidewalk e My Melancholy Blues, nonostante contenga una splendida performance vocale di Freddie e una melodia straordinaria.

Il disco successivo è Jazz (1978), album sottovalutatissimo, pieno di mastodontici super classici; basti pensare a canzoni come Fat Bottomed Girls, Dreamers Ball, Fun It, ma soprattutto Jealousy, Leaving Home Ain't Easy e Don't Stop Me Now


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