È questa la popolazione a cui chiedere di salvare il pianeta???

Ormai sappiamo un po’ tutti cosa vuol dire salvare il pianeta, ce lo ripetono su televisioni e giornali fino allo sfinimento e forse (ripeto, FORSE) stiamo entrando nell’epoca dell’azione concreta dopo anni di chiacchiere e sottovalutazione del problema, quella in cui le autorità stanno mettendo sul tavolo soluzioni concrete.

Però… c’è un però: l’azione delle autorità non è sufficiente, serve il contributo di ogni singolo cittadino del mondo, se dall’alto si cercano soluzioni per ridurre le emissioni di gas serra e il consumo di acqua il cittadino deve cercare quanto più possibile di rivedere le proprie abitudini e limitare i consumi. Ma siamo davvero sicuri che i cittadini siano in grado di fare questi piccoli sacrifici? Siamo davvero sicuri?

Salvare il pianeta vuol dire ad esempio viaggiare di meno. Gli studi attribuiscono al traffico aereo e ai viaggi un impatto all’incirca dell’8% sul riscaldamento globale. Molti intervistati (meno del 50% comunque) sarebbero disposti a rinunciare ai viaggi aerei o a parte di essi, ma la mentalità generale che imperversa sui social è decisamente viaggiatrice: post che ci fanno credere che chi non viaggia è perduto, che chi non viaggia muore, non scopre altre culture e diventa perfino razzista o robe simili, a cui va ad aggiungersi la gente che intasa i profili altrui con spiagge tropicali, foto con cocktail, chiappe al vento, grattacieli e città sterminate… e non solo stagionalmente ma più volte all’anno. Tutto questo quando invece in Italia abbiamo bellissime spiagge e luoghi di cultura invidiati in tutto il mondo. Tutto il mondo ha creato una società e un’economia basata sul turismo di massa, il turismo è per molti paesi una primaria fonte di guadagno, sarebbero questi in grado di rinunciarvi sapendo che vorrebbe dire perdere entrate sicure? E la popolazione sarebbe veramente in grado di contenere questi istinti da esploratori folli? La storia recente ci suggerisce che l’uomo non è capace di evitare i disastri, lo ha dimostrato durante l’estate 2020: reduci dalla terribile prima ondata di Covid-19, con il virus che in alcune aree non aveva frenato del tutto la propria circolazione, ci era stato fortemente consigliato di rimanere nel nostro paese, e invece… tutti hanno spinnato per andare in Croazia, Spagna, Malta, ecc. riportando le forme gravi e facendo ripartire alla grande l’epidemia. E si trattava di comportamenti in grado di ucciderci in breve tempo, figuriamoci in questo caso dove le ripercussioni sono nel lungo periodo…

Salvare il pianeta vuol dire anche usare molto meno le automobili. Siamo sicuri che la popolazione voglia veramente fare a meno delle automobili? Quando osservo le strade nelle ore di punta ogni volta penso “mamma mia, quante macchine, quanti veleni nell’aria!”, mentre sui social girano post che mostrano quanto spazio occupano tutte quelle macchine e quanto più libera sarebbe quella strada se quelle stesse persone fossero concentrate in un mezzo pubblico. Io che vivo nell’hinterland milanese so che gran parte di questo è raggiungibile abbastanza agevolmente con il servizio pubblico, che tra l’altro permetterebbe agli utenti di risparmiare notevoli costi relativi al mantenimento dell’automobile e anche ad evitare lo stress mattutino legato alla paura di non arrivare in tempo per via del traffico o del parcheggio che non si trova. Ma non c’è niente da fare, la gente, anche secondo diversi sondaggi, sembra preferire nettamente l’auto, probabilmente per quel senso di autonomia e di controllo della situazione che essa offre, quando parli con certa gente sembra che il passaggio alla bicicletta o al mezzo pubblico sia persino follia, non passa nemmeno per l’anticamera del loro cervello. Posso capire che alcuni grandi spostamenti è meglio farli in piena autonomia e senza grossi sbattimenti, il problema è che l’auto viene utilizzata anche per spostamenti di pochi chilometri, ma ho visto addirittura utilizzarla per brevissimi tragitti effettuabili tranquillamente anche a piedi, quasi ignorando o fingendo di ignorare il beneficio fisico del camminare; magari anche gente che la prende per recarsi alla palestra situata all’altro capo della strada e fare attività fisica leggera quando si faceva prima a correre sui percorsi pedonali o nelle campagne. Anche dai piani alti però non sembra farsi molto per scoraggiare l’uso dell’auto in favore del trasporto pubblico e ciclabile: almeno da noi, le piste ciclabili non sono ancora onnipresenti, sono molteplici le zone non raggiungibili con i mezzi pubblici (come se venisse dato per scontato che ad un certo punto uno si automunisca), a Milano poi il prezzo del biglietto viene addirittura aumentato e le corse tagliate. Ci si mette poi anche la pubblicità: in tutti questi decenni sono passati in TV così tanti spot di automobili che se andiamo a scavare nella nostra mente ce ne vengono in mente a bizzeffe, alcuni particolarmente teatrali e memorabili, pensiamo poi a quante canzoni sono diventate celeberrime grazie agli spot automobilistici; quanti spot di biciclette invece abbiamo visto? Io ne ho contati giusto giusto due sulle TV locali. Come si fa ad incoraggiare la svolta ecologica se nella mente del popolo viene inculcata solo una mentalità automobilistica? Il ciclista viene persino deriso sui social, il ciclista non è quello che ama l’ecologia, è quello che invade la carreggiata, quello indisciplinato, quello che rallenta il traffico (sai com’è, sono tutti di fretta) e altre dicerie simili, e la costruzione di una pista ciclabile viene spesso vista come un fastidioso restringimento della carreggiata anziché un’opportunità.

Salvare il pianeta vuol dire anche ripudiare il fast fashion, responsabile di circa il 18% delle emissioni di CO2, e imparare a comprare meno capi ed utilizzarli il più a lungo possibile. La gente sarebbe disposta a farlo? Non saprei, ogni volta che cominciano i saldi i centri commerciali si intasano di gente che non vede l’ora di accaparrarsi il capo all’ultima moda, continuamente spinta dall’influencer di turno su TikTok o Instagram che autoproclamatasi ministra della moda ha decretato quali sono i capi cool da comprare subito e quali invece sono out e vanno stipati nel fondo dell’armadio, influencer che, specie dalle giovanissime e più incoscienti, viene seguita senza minimo giudizio come fosse una dea, come fosse vangelo; così come anche gli articoli delle riviste online che con toni dittatoriali ti dicono di dire “addio a quei vecchi pantaloni, questi sono gli unici jeans che vorremo indossare la prossima stagione”, in quante inconsciamente abboccano, guai a non essere al passo con i tempi, sarebbe un’eresia… Comprare e comprare vestiti magari di scarsa fattura che non avranno nemmeno una vita così lunga per poi doverne comprare subito di nuovi perché i “vecchi” (fra virgolette, sia chiaro) cadono già a pezzi, costringendo queste aziende ad aumentare la produzione per stare dietro a questa sfrenata voglia di shopping (il fenomeno Primark è lì a dimostrarlo) e di conseguenza le emissioni e il consumo di acqua. Ma dico io, ma davvero non avete niente da mettervi? Ma che ve ne fate di tutti quegli abiti che poi manco mettete? Lo sappiamo bene ormai che avete un sacco di roba nell’armadio e che vi lamentate di non aver nulla da mettere! E poi è davvero così necessario essere all’ultimissima moda? Fate schifo se non lo siete? Ma creare un vostro stile personale no eh? E non vi accorgete che dopo un po’ diventate anche tutte tristemente uguali… e contribuite inconsciamente al disastro.

Ma attenzione! C’è anche un culto, un rito annuale che ha un impatto ambientale più devastante di quanto si possa pensare: il Natale. Una festa in grado di produrre in pochi giorni circa il 6% della CO2 che produciamo in un anno, oltre che una quantità incalcolabile di carta da imballaggio (spesso non riciclabile), un notevole consumo di elettricità e chi più ne ha più ne metta. E anche questa è un’abitudine che si può benissimo rivedere e correggere ma vai a farlo capire alla gente. Anche qui la pandemia fa scuola, con gli ospedali pieni e la gente che moriva, tutti si riversavano comunque a fare regali, Piazza del Duomo a Milano stracolma come se nulla fosse, mentre l’anno successivo (pur con i vaccini e un virus meno aggressivo), nonostante l’ampia circolazione virale, tutti in coda a fare tamponi perché guai a rinunciare al cenone di Natale. Non li ha fermati una minaccia virale immediata, può farlo una minaccia a lungo (anzi, ormai breve) termine? Eh, come fai a levare dalla testa della gente una tradizione consumistica ormai consolidata? Pubblicità e parenti ci hanno fatto fin da piccoli una testa tanta con ‘sta storia del Natale, tant’è che ora è una cosa praticamente automatica quanto dovuta. È normale e dovuto fare l’albero di Natale (e tenerlo acceso consumando un sacco di corrente), e soprattutto è normale e dovuto fare centinaia di regali, guai a non farli, è mancanza di rispetto, è disinteresse, è egoismo. In realtà ve lo dico io cos’è, falsità ed ipocrisia, oltre che ignoranza e indifferenza. Fate regali forzati a gente che non cagate di striscio per tutto l’anno, magari vi scannate pure… però “Buon Natale!”, esprimete emozioni che non sentite soltanto perché vi hanno detto che bisogna essere più buoni, ignorate il vero significato del Natale e mentre fate ciò che vi è stato detto di fare dalle lobby non sapete che state dando il vostro piccolo ma pesante contributo alla distruzione del pianeta.

E poi c’è una questione che tiene banco ormai da diverso tempo, e anche questa sembra passare sotto gli occhi della gente con un certo senso di indifferenza: la crisi idrica. Salvare il pianeta vuol dire anche salvare le risorse idriche e sprecare meno acqua. Ma la gente sarebbe disposta davvero ad usarne di meno? A leggere i social sembrerebbe di no. Gran parte della popolazione fa un numero spesso eccessivo di docce a settimana, numeri che arrivano perfino alla doppia cifra in alcuni paesi asiatici e sudamericani, tanti la fanno addirittura senza chiudere il rubinetto durante la fase di insaponatura; ma anche senza andare troppo lontano, rimanendo anche solo sui social e nelle chiacchierate amichevoli possiamo farci un’idea di cosa pensa la gente in merito. Quando senti parlare la gente secondo loro la doccia quotidiana è assolutamente sacrosanta e indiscutibile, anche nei mesi autunnali e invernali dove si suda decisamente poco e anche se non lavorano in fabbrica con forni e sostanze chimiche, in estate poi si arriva addirittura alle 3 al giorno, nonostante contro il caldo appiccicoso si possa fare decisamente poco. Come se la doccia avesse poteri magici. Quando spunta l’articolo che mette sul banco l’ipotesi di ridurre il numero di docce settimanali per scongiurare la crisi idrica ecco che arriva l’orda dei sapientoni che dicono di “non dare questi consigli malsani ora che sta arrivando la stagione calda” o che tira in ballo il fatto che sui mezzi pubblici ci sono millemila odori, come se l’igiene personale fosse efficace al 100% contro i cattivi odori; e grazie al cazzo, sono tutti stati abbindolati per anni e anni dalle pubblicità dei deodoranti che ti fanno addirittura credere che “più sudi e più profumi”… Per il genere umano poi l’odore è qualcosa da nascondere, al contrario del restante mondo animale, l’odore di sudore è una cosa normalissima e invece no, la gente deve nasconderlo con ettolitri di deodorante, o meglio deve cercare di nasconderlo, darsi l’illusione di poterlo fare quando invece i miracoli non esistono. Viene ignorato poi anche il fatto che l’odore personale sgradevole può dipendere anche da altri fattori e malattie, per la gente uno che puzza è semplicemente una persona che non si è lavata e basta, una persona da mettere alla gogna, magari non è colpa sua ma fa niente, è da emarginare per le proprie abitudini e basta; e viene ignorato anche il fatto che l’eccessiva igiene può portare la pelle a liberarsi di batteri buoni, a seccarsi, a diventare più sensibile e a sviluppare malattie, e lo dicono i dermatologi, mica io; un’ignoranza diffusa e un senso di intolleranza che ci stanno trascinando in un dissesto idrico senza precedenti. Voglio vedere come questi maniaci della pulizia si laveranno quando per colpe anche loro dai rubinetti uscirà aria…

Queste sono solo alcune delle abitudini che possiamo modificare. Ma alla gente sembra non fregare nulla di questo riscaldamento globale, anzi, a tratti sembra quasi contenta che il clima diventi più caldo. Ogni anno la gente non vede l’ora che arrivi l’estate, di tuffarsi in mare, di invadere le spiagge e le discoteche all’aperto, e quando l’estate non è lì va a cercarla ai tropici o nell’altro emisfero. Per la gente l’inverno è depressione, buio, freddo. Perché è stata educata così, anche qui pubblicità e media hanno fatto il suo sporco mestiere, tanta pubblicità a gelati (l’Algida e il suo “cuore di panna”), agenzie viaggi, crociere, creme solari. Anche le canzoni non hanno fatto eccezione, le canzoni più ricordate e cantate sono legate all’estate o hanno un’ambientazione estiva, pensiamo a “Sapore di sale”, “Abbronzatissima”, “Stessa spiaggia, stesso mare”, ma anche all’estate che “vorrei potesse non finire mai” dei Negramaro, pensiamo ai cantanti di lingua spagnola che ogni anno sono lì a progettare il successo per l’estate magari allegandoci un balletto da dare in pasto ai villaggi turistici, pensiamo ai videoclip commerciali che sono ambientati più volentieri su spiagge e piscine con ragazze in abiti succinti che non su piste da sci o in Islanda. Per la società devi vivere solo in funzione dell’estate, del sole e del mare, non ci hanno mai educato a trovare del romanticismo nella pioggia, nella nebbia, nei campi bianchi di brina, negli alberi spogli e nelle foglie secche, nel fruscio del vento, forse lo hanno trovato i più intellettuali e colti, quelli più indifferenti alla mondanità, quelli che hanno capito che il monopolio estivo è tutta una trovata pubblicitaria… Quando il clima è precocemente caldo la gente non sembra preoccuparsi minimamente, anzi invade le spiagge e racconta con fierezza di aver fatto il bagno a marzo, questa gente vedrebbe in un ulteriore riscaldamento atmosferico un’opportunità anziché una minaccia… solo però quando le fa comodo, quando non fa più comodo si rintana in casa con il condizionatore sparato a manetta sul 16 già alle 8 del mattino, altra abitudine non proprio amica dell’ambiente né della salute, vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, vogliono l’estate ma non vogliono sudare, vogliono il caldo ma si lamentano dell’odore di sudore altrui, vogliono il fuoco in spiaggia e il ghiaccio in casa; in ogni caso voglio proprio vedere se gioiranno ancora quando ci saranno eventi catastrofici, la loro casa sarà sommersa e le temperature saranno veramente da inferno dantesco.

Insomma, dopo tutte queste riflessioni possiamo arrivare al punto e farci la domanda. La gente cambierà davvero le proprie abitudini? È questa la popolazione a cui chiedere di salvare il pianeta? In tutta franchezza… NO!!!


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