Progresso può anche essere sinonimo di regresso?

In questi primi mesi dell'anno un tema che ha suscitato vasto interesse è quello legato all' intelligenza artificiale, intesa come nuova frontiera del progresso tecnologico e informatico. Grande risalto è stato dato alla preoccupazione espressa dai soloni della Silicon Valley nei confronti dell'impiego di applicativi di AI (acronimo per Artificial Intelligence) in vari settori, con relativo proposito di fermare per sei mesi lo sviluppo di tali tecnologie proprio perché si teme che il laissez faire potrebbe scatenare conseguenze socio economiche ora inimmaginabili , ma poi inarginabili. Il timore sarebbe costituito dall' avvento graduale ma inesorabile di una società sempre più robotizzata, a scapito di tanti ruoli professionali connessi al cosiddetto terziario avanzato, in cui rientrano tanti colletti bianchi e pure figure lavorative definibili come creative. E non per nulla questa preoccupazione si è manifestata nientemeno che a Hollywood, ove il sindacato degli sceneggiatori esterna forti preoccupazioni a fronte di un impiego delle tecnologie di intelligenza artificiale (della serie: a cosa servirebbero poi gli sceneggiatori se bastasse affidarsi ad applicativi del suddetto tipo?).

Certo, quando il progresso tecnologico si è manifestato in passato, alcuni timori sono sempre emersi (per l' avvento della rivoluzione industriale ci furono tanto di artigiani luddisti attivi nello sfasciare i nuovi macchinari, ma sappiamo bene come andò poi a finire...). Nulla di nuovo quindi sotto il sole e io stesso sono sempre stato curioso delle novità in quanto tali. Ma non nego di aver provato una forte perplessità sul tema applicativi di AI quando, alcune sere fa, ho ascoltato su Radio Capital una trasmissione dal titolo "B side" in cui il conduttore raccontava una sua esperienza diretta nel nuovo ambito tecnologico. Riferiva di aver scaricato, per la curiosità di fare una prova, dalla rete un applicativo di intelligenza artificiale ( di cui non ricordo il nome) molto versatile in campo musicale. Aveva poi effettuato alcune interrogazioni di sistema all'app, chiedendo di prendere dal database alcuni brani dei Beatles e di effettuarne delle cover secondo stili diversi, del tipo alla David Bowie e alla Bob Marley. Il risultato, trasmesso nel corso della puntata di "B side", aveva un che di incredibile poiché poteva generare, nell'ascoltatore ignaro degli antefatti sopra citati, la convinzione di autentici brani inediti realizzati proprio dai due musicisti suddetti.

Se questa è in estrema sintesi l'avventura/disavventura di un DJ verso un app di cosiddetta AI (e immagino che altre siano attualmente reperibili e sempre più lo saranno), a me è venuto spontaneo fare alcune considerazioni personali che riporto qui di seguito.

Innanzitutto è chiaro che, mai come in questo caso, il futuro è già qui presente e non so proprio come si possa pensare di imbrigliarlo. I tempi evolutivi possono essere più o meno veloci, ma ho l'impressione che si dovrà convivere con queste novità.

Resta il fatto che in questo caso il campo della musica, con tutto ciò che di operativo e professionale vi ruota dentro, non potrà fingere di non tenerne conto. Il mondo della musica potra` certo tirare avanti, ma future logiche di mercato potrebbero dare sempre più spazio a elaborati artificiali tanto da avere la concorrenza cosiddetta automatizzata di un'incisione scaturita da un'app sofisticata di AI (chiamata ad esempio Piripicchio) verso composizioni di musicisti in carne ed ossa. E magari un pubblico futuribile potrebbe mostrare preferenza verso una musica squisitamente artificiale e figlia di evoluti algoritmi. Giunti a quel punto si sarebbe in presenza di un reale progresso nell'evoluzione della nostra società e del genere umano?

Io non ho risposte certe da dare e mi limito solo a proporre spunti di riflessione. Dico solo che se questo potrebbe essere un eventuale futuro più o meno prossimo, già fin da ora avverto un vago odore di plastica e sottoscrivo la famosa invettiva dissacrante del grande Frank Zappa verso la cosiddetta "plastic people". Era allora indirizzata verso la borghesia conformista yankee degli anni '60, ma ormai viviamo nel mondo "plasticoso" del ventunesimo secolo e appunto la plastica ci avvolge tutti quanti, sempre di più. Dovremmo forse rassegnarci a tutto ciò?


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