COMPONIMENTO LIRICO N. 1: LODE AL (VECCHIO) VINILE

Ehiii Gic!!! Dove vai così di fretta pedalando in bicicletta?!?! E fermati con noi a bere un pirletto … se non ricordo male Campari, giusto?

Si, giusto ma grazie no gnari (devo pur usare le locuzioni locali per senso di appartenenza, dopo 25 anni!), non posso, scusate ma stamattina mi sono svegliato con le note di “How” di John Lennon nelle orecchie e devo, dico DEVO, andare a casa e dare soddisfazione alle trombe di Eustachio con tutto “Imagine”, dall’inizio alla fine. Poi, magari, tiro fuori la Rolls dallo scaffale e ascolto anche “Let It Be”!

Ma dai … ma perché non ascolti la musica andando in bici e così puoi fermarti con noi?

Perché? Perché ho detto che devo ascoltare, non sentire! Ascoltare, chiudere gli occhi e coinvolgere partecipativamente il pensiero stimolato dalle onde sonore. Non fare nient’altro, solo dedicare tutti i miei sensi al piacere dell’ascolto.

E poi c’è la liturgia dell’ascolto in vinile, con i gesti che si ripetono, sempre gli stessi: accendo il giradischi e l’amplificatore; estraggo il vinile dalla sua custodia invecchiata dal tempo e lo appoggio delicatamente sul piatto; prendo la spazzola antistatica e, mentre il disco gira, tolgo la polvere dall’interno verso i bordi; stacco il braccio dal suo supporto; lascio dolcemente cadere la puntina sul bordo del disco e, finalmente, dopo tanto operare l’agognata gratificazione: il suono. Una marea infinita di frequenze che solo il vinile riesce a rendere.

Mi siedo nello stesso punto del divano, sapientemente posizionato rispetto alle casse, e so già che non mi alzerò fino alla fine del lato A. Quando la puntina smette di suonare musica e restituisce il vuoto della superficie non incisa, esco dallo stato d’estasi e mi alzo per girare il disco e iniziare l’ascolto del lato B. Senza interruzioni, senza skip, senza shuffle, senza remote control. Senza limiti all’immaginazione.

Ho già accumulato circa 250 vinili cercando di scegliere con cura cosa acquistare. Prima i grandi classici, poi quelli che mi hanno accompagnato in momenti indimenticabili della mia vita, fortuna che i due insiemi sono decisamente intersecati! Agli estremi della valutazione secondo questo parametro, ci sono i vinili/swiffer e i vinili/porco. I primi, dopo un paio di ascolti se ne staranno sullo scaffale per tanto tanto tempo a catturare polvere. I secondi si fanno ascoltare dall’inizio alla fine, senza soluzione di continuità. Non si butta niente e ringrazi per i solchi vuoti tra una traccia e l’altra che ti fanno riprendere per un attimo il contatto con la realtà. In questo caso, ogni tanto devi resistere alla tentazione, perché l’ascolto usura il vinile. (E “Imagine” è decisamente un Gran Suino Padano, con due quarti posteriori – la title track e la citata How – buoni per il Culatello di Zibello!).

Non compero mai compilation (solo rare eccezioni) o versioni successive, rifacimenti, extra vari o canzoni escluse. Mi interessa il disco originale, (anche se ristampa, ma rigorosamente riprodotta prima dell’era digitale), e mi interessa capire come è nato e perché l’artista è arrivato in quel momento a fare quell’album. Oggi è possibile conoscere l’intera produzione di un artista attraverso l’utilizzo di piattaforme di streaming musicale e magari approfondendo con la visione di interviste e live su YouTube. Ma tutto ciò non ti servirà a capire. Tutto troppo facile. Le cose bisogna conquistarsele con pazienza e dedizione. Un po’ come quando si andava in biblioteca per trovare materiale e scrivere la mitica ricerca assegnataci dal prof.

E poi, Il piacere di possedere oggetti è un qualcosa che accompagna l’essere umano da sempre, basti pensare ai corredi funerari risalenti già all’età del rame. È in questo solco che nasce il desiderio di avere un elemento concreto che attui la passione verso un artista. La passione: la spinta propulsiva senza la quale questa pratica sarebbe una meccanica raccolta di oggetti. “Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi.” (Cit. da “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello)

Collezionare vinili è un’arte che si impara sul campo. Scoprire che le stampe migliori sono quelle giapponesi, sapere che I Pink Floyd etichetta Capital sono decisamente meglio di quelli EMI, che un vinile rimasterizzato è come una bambola gonfiabile, che il concetto di “Near Mint” di un greco non è uguale a quello di un tedesco! Vuol dire passione, pazienza e attenzione, con la consapevolezza che è tutto soggettivo.

Se, come me, ami la buona, vecchia musica (fino a metà anni 80), sei fortunato perché i dischi in vinile ti daranno il meglio dato che gli album erano nati per i vinili. E poi un disco in vinile non è soltanto un oggetto che consente di ascoltare musica trattata solo in modo analogico (e non è paglia …), è anche un oggetto visivo da consultare e mettere in bella mostra, come un’estensione culturale della nostra identità. Lo scaffale dei dischi parla di noi e non solo del nostro gusto musicale.

Qualcuno dirà: una boomerata. Certo che lo è. Per noi cresciuti a sbavare dietro le vetrine dei negozi di dischi, tutto ciò è un modo (stupendo) di tornare bambini e non c’è niente di meglio, per ricordarsi di amare la vita, che coltivare e proteggere l’immaturo che custodiamo gelosamente nel nostro profondo.


Carico i commenti... con calma