SERGIO LEONE
Il 30 aprile 1989, 36 anni fa ci lasciava Sergio Leone, stroncato a sessant'anni da un infarto. Per molti anni, in occasione di questo anniversario mi è capitato di scrivere qualche riga per ricordarlo. Adesso ne sono passati parecchi dall'ultima volta che ho scritto. Cercando nel mio piccolo archivio, alla fine ho ritrovato questo che segue, che scrissi a 10 anni dalla sua morte, e che rimane forse la cosa migliore che ho scritto. L'avevo inviato su un newsgroup di usenet che frequentavo assiduamente all'epoca. L'ho lasciato così com'era allora, senza ritocchi e magari con qualche ingenuità ed eccesso di entusiasmo di troppo e che forse adesso non ripeterei, ma mi sembra che abbia comunque conservato la freschezza e la spontenità di allora. Buona lettura.
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SERGIO LEONE - TEN YEARS AFTER
“Guarda guarda chi si vede: il fumatore. Ti ricordi di me, amigo?… Ma sì, El Paso.”
“Il mondo è piccolo”
“Sì, e anche molto cattivo… Prova a accendere un altro fiammifero…”
“Abitualmente fumo dopo mangiato. Perché non torni tra dieci minuti?”
“Tra dieci minuti fumerai all’inferno. Alzati”
Questo scambio di battute tra Lee Van Cleef (Col. Mortimer) e Klaus Kinski in “Per qualche dollaro in più” è solo uno dei tanti memorabili dialoghi presenti nei film di Sergio Leone, di cui oggi, 30 aprile, ricorre il decimo anniversario della scomparsa.
Essendo ormai diventata una mia consuetudine, da quando frequento IACine, omaggiare ogni anno, in questa data, il mai abbastanza rimpianto regista italiano, che ho amato fin dall’adolescenza in maniera quasi viscerale, in occasione del decennale, ho deciso di andare un po’ a ruota libera, pescando tra i ricordi e le sensazioni che mi hanno sempre suscitato i suoi film.
“Al cuore Ramon, quando vuoi uccidere un uomo devi sparagli al cuore!”
Il primo e più famoso teorema della filmografia leoniana (“Quando un uomo con il fucile incontra uno con la pistola, quello con la pistola è un uomo morto”) viene confutato nel finale di “Per un pugno di dollari” dall’eroe biondo, senza nome e senza passato (Clint Eastwood) che, terminato il suo “compito”, se ne va in groppa al suo mulo senza una metà precisa.
E’ l’inizio della leggenda e della fortuna che avvalsero a entrambi (Leone e Eastwood), i quali si incontreranno anche nei due successivi film per poi lasciarsi definitivamente, seguendo ognuno la propria strada.
Ma la figura dell’eroe solitario, individualista e un po’ anarchico rimarrà una costante di tutta la produzione di Leone, attraverso i personaggi di Armonica (Charles Bronson) e John (James Coburn) fino ad arrivare a quello più completo, il malinconico e perdente Noodles, interpretato in maniera magistrale dal grande Bob De Niro.
Questo, come il tema dell’amicizia virile da una parte e la spietata visualizzazione della violenza dall’altra, saranno gli elementi cardine del discorso cinematografico di Leone, ai quali bisogna aggiungere, per avere un minimo di completezza del quadro, il tocco ironico sempre presente a vari livelli e spesso nelle situazioni più tragiche.
Ovviamente l’ironia, che la fa da padrona in tutta la trilogia del dollaro, raggiungendo il suo apice ne “Il buono, il brutto, il cattivo”, pian piano viene stemperata nella trilogia americana, quando il gioco si fa più serio, e arriva a toccare note molto amare nel dialogo finale tra Noodles e Max al termine di “C’era una volta in America”:
“Un amico tradito non ha scelta. Deve sparare!”
“Vede senatore Bailey, in passato abbiamo ucciso per molti motivi, ma il suo caso non l’avremmo mai accettato”
“E’ il tuo modo di vendicarti?”
“No, è solo il mio modo di vedere le cose.”
Non è da meno, tuttavia, un altro grande scambio di battute alla fine di “C’era una volta il West” tra Armonica e Frank, sullo sfondo della ferrovia che avanza inesorabilmente (il progresso) e che sta per cancellare definitivamente le mitiche figure del vecchio e selvaggio West:
“E così hai scoperto che non sei un uomo d’affari”
“Solo un uomo”
“Una razza vecchia, verranno altri Morton e la spazzeranno via”
Sono così tante le cose che emergono dalla visione dei suoi film, che viene da chiedersi se Leone stesso fosse sempre stato pienamente consapevole di tutti gli aspetti, le connessioni, i sentimenti e le sensazioni che è riuscito a far scaturire, a provocare e a suscitare con le immagini, o se il tutto sia stato solo il frutto di una grande abilità istintiva, di un talento naturale e innato che ha trovato sfogo in quel grande mezzo artistico che è il cinema.
Non lo so, forse è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Poco importa però, visti gli eclatanti risultati raggiunti.
Ci sarebbero, ovviamente, tanti altri aspetti da prendere in considerazione, da quelli spettacolarmente tecnici, che vanno dall’uso particolare dello zoom agli stupefacenti dolly e piani sequenza (uno su tutti: l’arrivo di Jill alla stazione in “C’era una volta il West”), al montaggio (vedi il triello de “Il buono, il brutto, il cattivo”), all’utilizzo della musica, che forse mai come nei film di Leone, ha avuto un peso così determinante nella riuscita delle opere. Ma non voglio tediare ulteriormente chi è arrivato a leggere fino a questa riga, e soprattutto mi auguro, in futuro, di poter riuscire a sviscerare altri temi al riguardo.
Oggi, a conclusione di questo umile e modesto omaggio, voglio ricordare quella che per me resterà per sempre la più bella sequenza di tutti i suoi film:
un uomo si rialza da terra, dopo che una cannonata l’ha fatto cadere da cavallo e si ritrova ai margini di un cimitero con le tombe disposte in cerchio. Parte un tema musicale inedito (e che verrà sfruttato solo in questa sequenza) e l’uomo inizia a correre tra le tombe. Alternando campi lunghi a primi piani e a soggettive, in un crescendo musicale sempre più alto, assistiamo per quattro minuti alla ricerca affannosa dell’uomo che terminerà davanti alla croce con su scritto Arch Stanton.
Protagonista, ovviamente, il grande Eli Wallach!
L’ultima immagine prima dei saluti va, invece, al fermo sul sorriso di Bob De Niro, l’ultimo fotogramma girato da Leone. Un sorriso enigmatico, che lascia lo spettatore nel dubbio se tutto quello che ha visto nelle quattro ore precedenti sia realmente accaduto o sia solo un sogno, il frutto della fantasia di un consumatore di oppio.
Ma ha forse un senso porsi questa domanda, quando tutto il cinema, in fondo, non è altro che un sogno.
Con immenso amore