Tenez!

A Cagliari nel primo turno di Coppa Davis 1990, Paolo Canè affrontò Mats Wilander in una partita di cinque set che si spezzò in due atti per l’oscurità: 6-4, 3-6, 4-6, 7-5 la domenica, con il quinto set rimandato al lunedì e chiuso 7-5, un epilogo che fece esplodere Monte Urpino. Il momento televisivo più iconico fu immortalato dalla telecronaca di Giampiero Galeazzi, con la celebre frase sul rovescio in diagonale “il Turborovescio”, mentre Adriano Panatta scese a raccogliere Paolino da terra, a suggellare una scena di pathos puro prima dell’ultimo slancio. Tecnico e viscerale, il match fu un alternarsi di logoramento svedese e scosse emotive italiane: Wilander provò a incatenare gli scambi, ma Canè ruppe il ritmo con variazioni, accelerazioni improvvise e quel nervosismo estrovertito che trasformò la lotta in racconto. La sospensione per buio aggiunse tensione drammaturgica: il lunedì, con il centrale a braccia spalancate, Canè tornò più teatrale che mai, spingendo con il dritto inside-out e il rovescio coperto per aprirsi lo smash conclusivo che chiuse la contesa e portò l’Italia sul 2-2 contro la Svezia stellare. Quell’ultimo scambio, inchiodato dalla chiusura a rete e dal tuffo liberatorio, è rimasto nel canone emotivo della Davis italiana, simbolo della sua capacità di trasformare fragilità e furore in un colpo netto, definitivo.

Il tennis di Paolo Canè, detto “Neuro”, è stato un fenomeno unico nel panorama italiano e internazionale, un intreccio di talento, nervosismo, teatralità e improvvisazione che ha trasformato ogni suo match in un evento irripetibile. Nato a Bologna nel 1965, Canè raggiunse il suo apice alla fine degli anni ’80, conquistando tre titoli ATP e spingendosi fino alla posizione numero 26 del ranking mondiale nel 1989, ma ridurre la sua carriera a numeri e statistiche sarebbe un errore: il suo tennis era pathos puro, un linguaggio emotivo che andava oltre la tecnica. Canè era capace di battere campioni come Connors, Edberg, Wilander, Ivanisevic e persino Agassi, ma ciò che lo rendeva indimenticabile era il modo in cui stava in campo, nervoso e narcolettico, oscillando tra esplosioni di rabbia e momenti di genio assoluto. Canè non era solo un giocatore, era uno showman: il pubblico non assisteva a una partita, ma a uno spettacolo teatrale, dove ogni gesto, ogni smorfia, ogni sfuriata diventava parte di una drammaturgia tennistica. Il suo soprannome “Neuro” non era casuale, ma la sintesi di un carattere bizzarro e imprevedibile, capace di trasformare la tensione in energia scenica. In campo, Canè incarnava la dimensione del tennis come performance totale: non solo colpi e tattica, ma corpo, voce, emozione, ira e ironia. Il suo tennis nervoso e narcolettico era un continuo oscillare tra concentrazione e distrazione, tra esplosione e caduta, ma proprio in questa instabilità risiedeva la sua forza spettacolare. Se Sinner rappresenta oggi la sobrietà e la sottrazione, Canè era l’eccesso e l’aggiunta, il caos che si fa bellezza, la follia che diventa arte. La sua carriera è costellata di aneddoti che testimoniano questa natura: le sfuriate contro arbitri e avversari, le improvvise cadute di tensione seguite da colpi geniali, le partite trasformate in palcoscenico dove il pubblico rideva, si emozionava, si arrabbiava insieme a lui. Paolo Canè è stato il simbolo di un tennis che non si accontentava di vincere, ma voleva raccontare una storia, e ogni sua partita era un racconto di nervi e di cuore, di pathos e di spettacolo. In termini accademici, Canè incarna la dimensione della embodied cognition, dove il corpo diventa linguaggio e la performance sportiva si trasforma in atto estetico e antropologico. Il suo tennis non era solo competizione, ma comunicazione, un dialogo con il pubblico e con se stesso, un continuo oscillare tra ordine e caos che rendeva ogni match irripetibile. Esaltare Paolo Canè significa riconoscere che il tennis non è solo tecnica e disciplina, ma anche teatro e follia, e che la grandezza può nascere tanto dalla sobrietà quanto dall’eccesso. Canè rimane un’icona di pathos tennistico, un artista del campo che ha saputo trasformare la sua irrequietezza in spettacolo, e che ancora oggi rappresenta la bellezza di un tennis nervoso, narcolettico e irripetibilmente umano.


Carico i commenti... con calma