Daniel Dennett e la coscienza d'Italia

Ultimamente, nel mio peregrinare matto e disperato attraverso il mare magnum delle mie inconcludenti letture, mi sono appassionato alle teorie filosofiche di Daniel C. Dennett.
Daniel Dennett è un filosofo cognitivista che si occupa soprattutto di Darwin, della religione come fenomeno culturale, e, insieme al "compagno di merende" Douglas R. Hofstadter, di metafore, e di come esse "creino il significato". E di coscienza.

Secondo le teorie di Dennett se qualcosa è nella coscienza ciò non significa che quel qualcosa abbia il privilegio di essere rappresentato sul palcoscenico di un teatro, che lui chiama "Cartesiano". Questo teatro non esiste (come neanche, chiaramente, nessuno spettatore, che sarebbe l'"Io", ma questa è un'altra storia). Non esiste un luogo "centrale" nel nostro cervello per cui il solo essere arrivato in esso rende un evento stabilmente presente nella coscienza, definitivo e vittorioso, pronto a "guidare il futuro".

Facciamo un esempio. Possono mandare in onda in televisione, anche a reti unificate, un filmato che riprende un terribile omicidio di camorra. Dopo una settimana ce ne siamo tutti dimenticati, e tiriamo a campare, tanto: "E' cosa 'e niente".

Un giornale pubblica la notizia che un tipo ha sputtanato agli occhi del mondo il proprio Paese ospitando in casa sua variegata umanità promettendo poltrone parlamentari come fossero biglietti per entrare in discoteca. Dopo un mese non ricordiamo più niente, e tutto procede come prima.

Dennett nel suo piccolo fa tanti altri esempi di "fama effimera". Insomma, questa definizione di coscienza non funziona. La coscienza va invece definita, secondo Dennett, come una forma di "fama perdurante", distribuita in maniera capillare, all'interno del cervello umano. Una cosa è stabilmente nella coscienza se tutti i nostri "eventi mentali", ed i relativi comportamenti e reazioni del corpo, sono, in buona misura, automaticamente, stabilmente ed intrinsecamente influenzati e dipendenti da tale cosa.

Penso che questo capiti spesso quando si è innamorati, ed in questo caso non è una brutta cosa, anche se dolorosa in certi casi.
Non è però in generale una teoria consolante, in quanto svuota l'essere umano del suo "Io", di ogni spiritualità in senso tradizionale, che lo rende simile ad un robot la cui "coscienza" è solo un illusione insieme a tutti i suoi attributi, incluso il libero arbitrio ed i qualia.

E' una triste teoria di cui però consiglio a tutti un approfondimento. Anche solo per capire l'Italia di oggi.


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