L'amore ai tempi del Totocalcio

Del lotto non me ne è mai importato granchè.
Fondamentalmente perché non ho mai capito come venissero calcolate le vincite.
Ogni tanto qualche mio amico arrivava sventolando la centomila vinta, a suo dire, con un terno secco sulla ruota di Bari, ma io, dentro di me, pensavo: “Per me li ha fregati a sua madre…”.
E poi che palle con sta storia dei sogni con i parenti morti che ti dicono i numeri!
Sognavi la buonanima della bisnonna Antonietta che ti chiedeva di cambiarle il pannolone? 23, la cacca!
Sognavi il prozio Giannino – pace all’anima sua - che farfugliava qualcosa sbavando? 32, la dentiera!
Quando mi sono ritrovato a riflettere su quanto fossero ripide e scivolose le scale della casa di mia nonna, ho capito che il lotto non era il gioco giusto per me.

Perchè a me piaceva il Totocalcio!
Forse molti di voi nemmeno se lo ricordano: le schedine le si compilava al sabato perché allora le partite si giocavano tutte la domenica pomeriggio e per avere i risultati (anche della B) non bisognava aspettare 3 giorni.
Per giocare bastavano mille lire o poco più, e si vincevano cifre che ai tempi facevano sognare: roba che se vinco mollo tutto e apro un chiringuito su una spiaggia a Copacabana!
Oggi, quelle stesse cifre Gerry Scotti te le tira dietro alla quarta domanda de "Il Milionario".

Ecco, a volte ripenso ai tempi del Totocalcio e un po’ mi viene nostalgia.

Oggi c’è Sua Maestà Super Enalotto e tutti sembrano come impazziti.
Il montepremi è sempre più simile al P.I.L: di un piccolo Stato, la gente si mette in coda dal tabaccaio come per prendere l'Eucarestia, e capita che pure al Telegiornale, durante un servizio di cronaca nera, ci sia in sovraimpressione la sestina vincente.
Oggi ci sono i video poker, i veri campioni della catena alimentare dei ciuccia soldi.
Pensati, progettati, costruiti esclusivamente per fottere il prossimo. Eppure possono vantare su una schiera di fedeli devotissimi. Quasi una setta. Gente che trovi ipnotizzata davanti allo schermo già alle 10:00 del mattino e ti viene spontaneo chiederti: “Chissà da quanto tempo è qui…”.

Per dire, ai tempi del Totocalcio, mio padre mi chiamava e io smettevo subito di giocare.
Insieme andavamo al tabacchino vicino casa e lui, con insolita pazienza, mi rispiegava ogni volta cosa volessero dire gli 1, le X e i 2. E io ci mettevo magari mezz’ora a compilare tutte e tre le colonne, ma a lui non importava.
Ordinava un Campari, si accendeva una sigaretta e si metteva a chiacchierare con il tizio al bancone.
Quando avevo finito, gli tiravo una manica della giacca e lui faceva sempre una battuta del tipo: “Si, ma stavolta vedi di vincere, eh?”. E sorrideva.

La domenica pomeriggio ascoltavamo le partite alla radio, in cucina. E ogni partita era importante. Anche, per dire, Sambenedettese – Ternana (1-X). Perché ogni partita poteva essere quella buona, che ti avrebbe regalato il 13 vincente.

Poi non vincevi.
Prendevi la schedina e la accartocciavi. E la buttavi, come fosse carta straccia.
E iniziavi a pensare a quella della domenica successiva...


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