
La morte dei piedi
Il tepore primaverile mi fa, affabile, l’occhiolino: ad un gelato non so dire di no durante la pausa pranzo. Si sta bene sulla panchina; né troppo caldo, né troppo freddo. Niente vento e solo risate ed aria rilassante a fare da piacevole contorno. Stavo attaccando di gusto il pistacchio, quello color criptonite, nella Piazza del Duomo quando con la coda dell’occhio qualcosa ha catturato la mia attenzione. Metto a fuoco ed ecco una famigliola uscire dal gelataio ed inforcare quattro trabiccoli elettrici a due ruote. Ben presto si sono allontanati veloci, agili e silenziosi tra la gente curiosa. Sono rimasto imbambolato per qualche istante.
Il pistacchio cola al sole e solo quando tocca la mano mi “sveglio” e chiudo la bocca che nel frattempo si era aperta. Forse nelle grandi città questi aggeggi sono già alla moda da diverso tempo, ma in questo piccolo capoluogo incastonato tra i monti no. Una novità che mi ha scioccato. Anche dopo il lavoro ho rivisto il sorriso di quella "famiglia Mulino Bianco" che stava sponsorizzando queste macchine elettriche ed il pensiero è andato più in là. A tra qualche anno, quando forse la maggior parte dei cittadini abili a camminare si sposterà la sera, nei centri storici, lasciando come scia quel fastidioso rumore elettrico. Questa società del tutto subito, facile e senza sforzo, si è dimenticata persino di avere dei piedi.
Trovo sia un insulto a chi è troppo anziano e si muove provando veramente dolore appoggiandosi ad un bastone; uno sputo in faccia nei confronti di chi invece ha handicap che non gli permettono di usare le gambe; uno pugnalata per chi, per un verso o per l’altro, le ha magari perse. Eppure questo costoso trabiccolo, se accendo la tv e mi guardo in giro, devo tristemente ammettere che ci sta a pennello nella società odierna. Dove lo sport si può praticare in salotto guardando lo schermo della TV e muovendo solo pochi passi. Mi piacerebbe avere il potere per regalare lo sguardo di un neonato; per palesare impietosamente quello che lui innocentemente vede e di conseguenza assimila. Due o più giganti che masturbano con enfasi un pezzo di plastica tra risa e incazzature mentre guardano una cosa colorata.
Inforco la scarpette per correre lontano e consumarli. I piedi. Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, vedo il panorama cambiare con me e mi sento bene. Arrivato in cima alla salita tendo l’orecchio e mi fermo.
Quel ronzio elettrico quassù non arriva ancora.