Un ciclista

I paesi di campagna, in pianura, sono tutti uguali.

Dev’esserci stato qualcuno, un centurione, un esploratore, o più semplicemente un contadino, che un bel giorno – cento, duecento, duemila anni fa – si sarà fermato su un prato, prendendo un regolo ed uno spago e tracciando due linee, ad angolo retto, verso i quattro punti cardinali, o quattro punti presi in direzione del vento. Da quattro punti a quattro linee. Da quattro linee a quattro strade. Da quattro strade a quattro quadranti. Da quattro quadranti a quattro case. da quattro case a quattro persone, poi otto, poi sedici, poi sessantaquattro, fin tanto che il paese non si è formato.

Così è anche il paese dove mi fermo stamattina, con il suo incrocio, l’edicola all’angolo, la parrucchiera all’altro, la rotonda e centro strada ed un fiorino parcheggiato con le luci di emergenza, perché l’autista con i colpi di luce è sceso a portare un pacchetto alla posta sull’altro angolo ancora. Una rotonda al centro di tutto, con un’aiuola sfiorita, a riportare lo spazio curvo dopo secoli di dominio delle linee.Sulla soglia del bar del paese, accanto alla posta, tre amici e tre biciclette. Tre ciclisti. In un giorno feriale. Sono posti in cui essere ciclista vuol dire essere Qualcuno. Le montagne sono lontane, ma gli accenni di collina cominciano a vedersi verso nord, non appena sali sul cavalcavia del treno. Il ciclista parte dal paese, spesso in gruppo, e fa l’andatura fino in città, aggirandola e risalendo piano su quelle finte vette fatte di cipressi piantati nell’800, per spingersi poi verso vette più impegnative, se la gamba regge ed il tempo è buono. Il ciclista è figlio o nipote del contadino, e la bicicletta sportiva è come una rivalsa verso chi la bicicletta la usava solo per muoversi e per lavorare, come suo padre o suo nonno. A proprio modo, un lusso. Figlio di queste terre, corridore di queste terre, polmoni e fiato, gambe e braccia, parla delle sue imprese seduto sulle sedie di plastica davanti al bar. Voci dialettali, voci da contadino, voci da operaio.

Un ciclista è il fratello di Anna, che è qui con me. Ho appena conosciuto lei, amica di amici, e stiamo entrano insieme al bar. Si salutano, e mi piace il tono franco, dialettale, di questo volto scavato. Contadino od operaio, immagino. Figlio di quattro linee ortogonali.

“Sei di queste, parti, Anna?” chiedo mentre aspetto un macchiato. “No, siamo di giù, e viviamo qui da qualche anno per il lavoro di mio padre”, mi risponde.

Faccio scendere lo zucchero di canna come un velo sul latte bianco, guardo Anna, le spalle strette di suo fratello attraverso la vetrina, la sua nuca calva, le linee delle strade, le curve delle ruote, mentre il caldo silenzioso ci stringe tutti.

Sarebbe bello essere in collina.


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