Fight Test

Da bambino odiavo settembre, come tutti i bambini probabilmente. Non tanto perché ricominciava la scuola, posto che la scuola mi riportava dai miei amici, “ai giorni tutti uguali” di Paolo Conte, ma perché, al dunque, non avevo fatto in tempo ad abituarmi all’estate che l’estate stava già finendo, come saggiamente mi ammonivano i Righeira, con quei terribili occhiali colorati che tale Flavio – detto “il fiamma” o per la sigaretta sempre accesa, o per i capelli rossi, o ancora perché incazzoso, infiammabile – utilizzava durante le interminabili partite a biliardo nel bar del parco, o facendo ruotare il joystick a mezzaluna del gabbiotto del videogame nel tentativo, riuscito più e più volte, di battere il nemico di turno nella versione primordiale di Street Fighter, quella che finiva a lotta tailandese con Sagat, per intenderci. L’estate finiva e io non mi abituavo alle giornate più corte, non mi abituavo alla fine di DJ Beach ed al fatto che l’Acquafan di Riccione si svuotasse di presenze dietro ai vari Linus, Fiorello Jovanotti, non mi abituavo alle nuove classifiche dei 45 giri ed allo sconcerto di vedere “Hey Bionda” di Gianna Nannini scivolare giù in classifica, per essere sostituita da qualche tecno pop autunnale (i Depeche Mode mi sembra fossero specializzati in questo, prima di venire imbalsamati a gruppo di culto; i DP ci hanno educato all’autunno, alle camicie ed alla flanella, in questo precursori del grunge anni ’90) già indicativo della noia con cui avrei fatto su e giù da scuola, elementari e poi medie; ma lì c’era già il bus.

Comunque, con il tempo, ci si abituava anche a quello, alle merende pomeridiane con la nutella immangiabile in agosto, ai compiti e ai cartoni animati tipo Holly e Benji – non necessariamente in quest’ordine – alle giostre di ottobre ed alla sala giochi, preferibilmente sia il sabato che la domenica pomeriggio. Dopo la metà di ottobre l’estate era non solo finita, ma dimenticata e sepolta, ed anche l’autunno si faceva carico di prospettive, a patto di avere memoria corta e sapersi adattare. Oggi ho rivalutato settembre, e se ci fosse un dio – di quelli da antica Grecia, quelli capaci di tutto per capriccio – farei una richiesta: blocca tutto il tempo e regalami i primi dieci giorni di settembre in eterno, fermi per sempre.

Regalami un sole che sputa l’ultimo calore sull’emisfero nord, alberi che buttano gli ultimi fiori sapendo che tutto va a morire, cantieri che riprendono i lavori per finire in tempo il progetto di un edificio nuovo, baristi e commesse ancora cortesi, abbronzature che vanno sbiadendo, serate fresche in cui l’ombra della notte si fa ogni giorno più vicina, colazioni con cappuccino e Gazzetta dello Sport sperando in qualche novità dal calciomercato, prima che la classifica si allunghi. Regalami il senso del declino e della discesa, senza farmi mai vedere il declino e la discesa, regalami la fine dell’estate senza farla finire davvero.

Sarebbe come nella vecchia gita a Gardaland di settembre, dove il momento migliore delle montagne russe è quando si comincia a scendere, ma la discesa grande, i giri della morte, le spirali non sono che una possibilità, vicina eppure futura. Infinitamente lontana, assente, se ci fermassimo là, e finissimo il giro prima di essere sbattuti di qua e di là.

I don't know where the sunbeams end/And the starlight begins/It's all a mystery…sarebbe splendido, fermarsi così.


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