
Father and son
Da qualche tempo penso sempre più spesso alla paternità.
Non che abbia tutta ‘sta fretta di avere a che fare con notti insonni, pannolini farciti di nutella radioattiva e piogge acide di rigurgito post pappina. E’ solo che ad un certo punto le cose intorno a te cambiano: le tue ex si sposano, i tuoi amici pure, incontri dopo anni il capellone del liceo ed è più pelato di un pomodoro San Marzano e ti ritrovi a chiederti quand’è che la tua vita ha iniziato ad assomigliare pericolosamente ad un film di Muccino.
Sorvolando su questioni di cui mi frega tutto sommato poco (maschio o femmina? Come lo chiamiamo?), questioni a cui, ora come ora, non voglio nemmeno pensare (come lo mantengo? E se nasce con qualche malattia?), e questioni troppo grandi per me (il mondo è un posto troppo brutto etc.), ciò che mi fa davvero paura è la quotidianità.
Se mio figlio sarà un maschio, c’è il 50% di possibilità che si ritrovi vittima di atti di bullismo fin dalla tenera età.
La soluzione potrebbe essere quella di mandarlo a lezione di arti marziali appena tolto il pannolone: forse, così, non sarà vittima delle baby gang di quinta elementare che vogliono buttargli i Gormiti nella turca. Ma a quel punto ci sarebbe il 75% di possibilità che sia lui uno dei bulli della scuola.
Oddio, se proprio dovessi scegliere, preferirei che fosse uno di quelli che le dà, piuttosto che uno di quelli che le prende, però anche l’idea di un figlio rissoso e cafonazzo non mi fa uscire matto.
Senza contare che, in quel caso, nel giro di una decina d’anni, pure io rischierei di prendere un sacco di legnate se solo mi azzardassi a rifiutargli l’acquisto dello scooter più fico del momento.
Se sarà femmina, c’è il 20-30% di possibilità che tra una quindicina d’anni mi ritrovi per casa una escort in erba, con i pantaloni a pelo di figa e il taglio delle chiappe bene in vista, la cicca in bocca anche di notte e il trucco di Moira Orfei.
Certo, può sempre capitare che per allora non esistano più i cellulari, le videocamere, internet, il peer to peer e pure Piersilvio Berlusconi e il suo stracazzo di digitale terrestre di Mediaset Premium. Così - forse - non correrò il rischio di imbattermi in un video che la vede protagonista di una gang bang con la nazionale australiana di bowling. Ma chissà perché la vedo un’eventualità un po’ remota.
Non so.
E’ come se guardassi i bambini di oggi e ne fossi intimorito.
Penso alla mia infanzia e mi ricordo giangiulone e babbazzo: estasiato dalle prodezze grafiche di un Commodore 64, incredulo mentre il mio compagno di banco mi racconta l’ultima puntata di Colpo Grosso, terrorizzato all’idea di un ceffone di mia madre o di una nota della maestra.
Guardo i bambini di oggi e li trovo sgamatissimi e un po’ figli di puttana: a 9 anni hanno l’I-Phone, sono top uploader su Xhamster (sempre sia lodato), e se provi a sgridarli ti mandano affanculo in italiano, francese ed inglese (peraltro con un discreto accento).
Al telegiornale dicono è sbagliato e che è colpa dei genitori assenti e incoscienti.
Io, ad essere sincero, non ho ancora capito se tutto ciò è un male o un bene.
Mi ripeto che è una ruota che gira, che un figlio è (quasi) sempre una gioia, che ci sono passati tutti, che il mestiere di genitore è da sempre quello più difficile, che i momenti belli (si spera) alla fine ti fanno dimenticare quelli brutti e che, in ogni caso, “ne vale la pena”.
Qualche volta mi basta.
Tutte le altre no.