
E' colpa della peperonata
Mi piace la peperonata, ma non la digerisco molto bene la sera. Il fatto è che me ne pento solo dopo.
Lo spunto nasce da una considerazione apparentemente banale, ma per nulla stupida, fatta da un de-utente poco tempo fa. Riassumendo brutalmente la sua spremuta di polpo: “La qualità della vita è tendenzialmente cresciuta nei secoli e millenni“. In effetti devo ammettere che rispetto a quando eravamo molto più bassi, gobbi e pelosi ne abbiamo fatti di chilometri. Diciamo pure che ci hanno tirato un bel calcio in culo e che questo ci ha proiettati sempre più in alto.
Ma il punto di vista che vorrei proporre è un altro. Ritenete che sarà sempre così e che il 2... o il 3... sarà un posto migliore rispetto a quello attuale? E soprattutto credete che alla maggior parte di questi miliardi di bipedi attuali (compreso chi scrive ovviamente) gliene freghi qualcosa del futuro che non vedranno mai?
A parole, a differenza dei secoli scorsi, di sicuro ci teniamo. Un casino.
Lo sviluppo sostenibile è la definizione più “in” dalla seconda metà dell’ultimo secolo. Un commando di parole accuratamente studiate e ben assortite per dire, in modo fumoso, opinabile e rivoltabile come un calzino, che ci deve essere una generica ottica di lungo periodo nello stile di vita attuale per poter instaurare un idilliaco ed onesto rapporto intergenerazionale. Cosa voglia dire in atti pratici non si sa, ma poi si continua sostenendo che non siamo i proprietari delle risorse planetarie e bla bla bla. Sotto il muschio della retorica, tra le umidi radici di meeting tra i leader più potenti del globo, ecco quindi spuntare termini meravigliosi e radiosi quali finanza sostenibile, turismo sostenibile, lotta al cambiamento climatico, consumo sostenibile, etica nella politica, guerra senza quartiere al razzismo e a qualsiasi tipo di discriminazione. Pace nel mondo e volemose bene.
Non conosco una persona che mi abbia mai detto seriamente: “sì, sono razzista“. Però più di pochi e meno di molti, inerpicandosi su una strada lunga e densa di tornanti a U, mi hanno snocciolato negli anni discorsi il cui riassunto, limato di diversi paraculi incisi, è più o meno il seguente. “Io non ho nessun pregiudizio, sia ben chiaro. Tutti per me sono uguali, ci mancherebbe, ma se mia figlia si sposasse un "negro"/se mio figlio diventasse frocio …”.
Pii paesani vanno a messa vestiti bene ogni domenica in fila indiana. Si vede che è vera fede quella che fa raspare sonoramente le suole del mio ex compagno di classe. Finita la funzione mette in pratica con fervore l'omelia con alzate di gomiti nel bar dietro l’abside con due bestemmie a frase. Una per aprirla, e l’altra per chiuderla: ci vuole una certa prassi, una certa metodologia. Nel linguaggio, intendo.
In Italia non c’è lavoro, mi informa mio zio 72enne che non vuole andare ancora in pensione. Forse lo farà quando diventerà vecchio, mi dice. Adesso deve pur vivere e prendersi il suo stipendio che candidamente afferma non essere male e che così, ad occhio e croce, guardando il vestiario dovrebbe far ingrassare almeno cinque neo laureati. Per lei invece, quella che da quando è andata in pensione lavora in nero per tutti i capelli delle signore del paese, il vero problema dell’Italia è che nessuno paga le tasse. Però anche l’ambiente è da tutelare, mi ammonisce l’altro che subito dopo decanta la bellezza della giornata a Parigi testé trascorsa con un low cost andata e ritorno in poche ore. Un bel pugno di anidride carbonica sicuramente ben speso: le foto, cazzo, parlano chiaro.
Ora potrei chiudere dicendo che tutti noi possiamo, anzi dobbiamo, fare qualcosa per cambiare questo status aggiungendo pure un pizzico di enfasi con il tremendo l’avverbio veramente posto subito prima del punto. Ma io dalla finestra asini tra le nuvole non li vedo proprio scalciare e librarsi nell‘aria. Saranno gli occhiali sporchi, non so. Piove e quella che scende e pungola il mio braccio, ora ben steso, parrebbe proprio acqua fredda: gocce di cioccolato non ne scruto e non credo nemmeno che ne scenderanno mai.
Invece di assimilare, rendere proprie o anche solo accettare passivamente mendaci buoni propositi e definizioni da Babbo Natale non sarebbe meglio stare in silenzio? Ammettere con la lingua immobile imprigionata dai denti che il presente che ci fa tanto schifo siamo soliti spiegarlo/giustificarlo nello stesso ignobile modo che ho fatto io poche righe fa? Un frutto marcio dell’operato stronzo del vicino, dello sconosciuto, della massa, ma anche dell’amico, del parente o di chi è già concime per i vermi da tempo; comunque sia non nostro. Ammettiamo con le labbra cucite che, con ogni probabilità, avremo l'immeritata fortuna di pagare in minima parte dei comportamenti personali riconducibili alla nostra generazione e che quindi, per quanto questo possa sembrare una battuta non riuscita capace di ghiacciare una serata festaiola, ci è andata perfino di lusso. Perché la forza di quel calcio in culo di cui vi ho parlato all'inizio sta scemando e si sta per scendere. Quello che lasceremo in eredità proviamo a guardarlo: vi sembra un cielo azzurro? E allora stiamo almeno zitti.
Ma forse sono solo un mucchio fumante di cazzate senza capo né coda e quindi non scagliatevi troppo su di me. La colpa non è mia: ma della peperonata, sia ben inteso.