Il Canto Delle Sirene

Raccogliere rame, quello che la maggior parte della gente disprezza da quando la lira è morta, e ritrovarsi ad avere dopo qualche pagina di calendario diversi chili in forma di cerchi. Li guardo pensieroso, mordendomi fino al sangue il labbro inferiore, ed infine opto per un esperimento: lanciare questa pioggia infinita di monetine dal mio pc a quello di una banca sconosciuta per un'offerta libera.

Inizialmente provo a non badare alla zanzara che si è posata sul braccio e che ben presto mi ha punto. Tento di non controllare la risposta: il grazie che sono certo di aver ricevuto. Ma i giorni passano, accumulandosi come vecchi giornali in un tristo angolo senza luce, e ad un certo punto erutto l'impazienza accumulata e mi ritrovo a scorticare la pelle punta in profondità, fino all’osso.

Non credo di aver mai controllato la mail con così tanta costanza e frenesia. I soliti vari messaggi inutili; ma quello che cercavo. Cazzo, quello no. Non è possibile: sarà in ferie, mi dico. Mi ritrovo impaziente, come un innamorato al suo primo amore. Quello che, con il cellophane ancora attaccato al cuore, è intento a masturbare senza pausa il cellulare per leggere e bere il miele gratuito della sua dolcissima metà.

Quest’attesa febbrile ci ha messo un bel po’ a scemare ed andarsene. Innumerevoli volte sono pure stato tentato di scrivere qualcosa del tipo: ma con quel fottuto rame che ho raccolto con così tanto amore e che ti ho donato si può sapere che cosa cazzo ci hai fatto? Te lo sei mangiato, scolato al primo bar?

Fa estremamente male realizzare che l’esperimento sia riuscito.

Ci credevo davvero quando ho premuto ente, ma è inutile negare che quell’offerta non l’ho mandata per soddisfare un nobile bisogno di elargire liberamente un po’ dei miei risparmi per qualcosa che a mio opinabile parere meritava un plauso. L’amara realtà è che se getto un sasso nel lago, lo faccio per vedere le onde che quella caduta crea. E più grandi sono, più sto bene. Se caccio un urlo non è per sfogarmi, ma solo per sentirne l’eco fragoroso. Se faccio un gesto gentile è perché penso che il grasso grazie che nascerà, con ogni probabilità, mi sazierà come un pranzo di Natale.

Queste monete elettroniche lanciate, e fortunatamente rimaste senza eco, hanno finalmente dimostrando inequivocabilmente quanto il mio vivere sia meschino, doppiogiochista, traballante. Insicuro. Come anche l’azione più apparentemente nobile, una donazione, altro non sia che un gesto fatto per mero tornaconto ed appagamento personale: il lauto ringraziamento riflesso che ero convinto di generare.

Perché se così non fosse non dovrei sempre tendere l’orecchio dopo, restando in attesa di sentire quel fottuto eco. Agirei e basta, senza avere il bisogno di sapere cosa ne pensano gli altri ed aggrapparmi ai loro giudizi. Non godrei a scrivere i miei pensieri qui, ma me li terrei per me e per i pochi amici con i quali verrebbero fuori, forse, dopo tre pinte al bar. E starei bene comunque.

E voi lì dietro, ditemi un po’ popolo di debaser, sapete resistere all’eco? Al bastardo ed ammaliante canto delle sirene?


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