Innamorato

La cenere a forza di starsene lì sul fondo si era quasi sopita nel tiepido ventre pietroso; grigio dappertutto e solo un po' di rosso spento qua e là. Pomodoro caduto accidentalmente in un cielo d'autunno a testimoniare la presenza di qualche barlume di calore. E così, mentre si stava spegnendo, guardava senza troppa convinzione in alto, sperando che da quella apertura cadesse un copioso rettangolo di diavolina. Quel dolce e candido petrolio solido che è solito anticipare la caduta di qualche tenero legno da mordere. Come quasi non si ricordava più.

Questione di un istante. Occhi. Quattro, in un locale affollato si scontrano su una linea retta invisibile e non si abbassano per tre secondi eterni che vengono spezzati in una fila eterna di istanti densi come blocchi di granito. Dal soffitto cade quindi una doccia di benzina mentre la sala si riempie di lanciafiamme. Dietro quel colore verde, quasi irreale tanto intenso, sicuramente ci sarà di che farsi male; molto probabilmente, se farà la loro conoscenza, più in là gli potranno strappare il cuore e trafiggerlo con un tacco dodici, girando per bene il piede affusolato. Non ci pensa: deve conoscere e vedere da vicino quella criptonite. Vorrebbe davvero, ma quella fottuta di una timidezza lo prende per la manica e con strattoni violenti lo fa allontanare. Lui gira il collo mentre fa cadere bicchieri, sposta tavolini, pesta piedi ed in una cornice di bestemmie e urla riesce ancora a vederli. Quegli occhi.

La provvidenza assiste alla scena e non può resistere e starsene lì, con le mani in mano, di fronte ad uno scempio del genere. Scava così con un gesto una bella buca di rum e pera nella quale la timidezza, impegnata com'era a strattonare, ci cade dentro con uno spettacoloso tuffo. Sguazza per un po', arranca muovendo in maniera goffa e scoordinata le braccia ed infine annega senza rimpianti e cerimonie da parte di nessuno.

Qualche cifra viene scambiata e poi, a distanza di sette giri di volta della Terra si ritrova a parlare con quegli occhi senza dover nemmeno prendere la Padania o Libero per avere la meglio, con sonore risate, su quei fastidiosi e miei silenzi di ghiaccio che solitamente albergano nei primi appuntamenti. Sciogliersi alla "evve" sexy, alle fossette quando ride e condividere persino buona parte dei pensieri dando una scorciata peccaminosa al fisico che sembra una Chicane. Tirare una battuta ed osservarla saltare, prenderla al volo e rilanciarla per uno strike. Ritrovarsi così a camminare leggeri, due, tre, quattro volte davanti alla macchina parcheggiata per procrastinare quel suono fastidioso: la chiusura della portiera. Danzare quindi come granelli di sabbia scippati dal deserto e trasportati dal vento per le vie della città.

Sentirsi di nuovo bruciare ed ardere; non pensare con fredda razionalità a quello che verrà, ma mangiarsi questo momento di miele avendo la falsa convinzione che sarà così per un tempo impossibile anche solo da immaginare. Per sempre.

La legna, si dice, stavolta scenderà copiosa al momento giusto e non mi raffredderò più.
Sentirsi ancora una volta così stupidamente e meravigliosamente innamorato.


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