L'esercito degli Arturi Bandini

Arriva la mail di un collega con invito all’inaugurazione del suo nuovo romanzo. Tonnellate di pacche sulle spalle, baci e complimenti che Giuda Iscariota al confronto è un dilettante. Lo inizio una settimana dopo ed è una merda. Sembra sia una malattia: se non scrivi un libro, che venga pubblicato o no è secondario, non sei nessuno. Rettifico. Non sei qualcuno.

Qualche settimana dopo il tasto “Back Space”, alla millesima pressione di giornata, salta fuori dalla tastiera e mi tira un calcio volante alla Van Damme (nell’hard disk ha un sacco di film d’azione anni ‘80/’90 del calibro di “Senza esclusione di colpi“) al dito medio. Incazzato nero, è quello il colore dei quadrilateri placcati, se ne esce con un: “Ragà, mo’ hai veramente rotto er cazzo e nun sei manco alla prima frase!” Mi ero quasi dimenticato di averlo comprato a Roma. Questo dannato pc. Lo guardo incredulo e dolorante mentre pavoneggiandosi si rimette a posto in alto a destra, proprio sopra l’amico “Enter” che lo applaude energicamente guardandomi con aria di sfida.

Il fatto è che prendere un guanto e sfidare questa parete da ospedale che mi guarda sprezzante è un cubo di Rubik per un daltonico. E se è vero che, quando in un’indefinita fase REM un sottofondo di archi da “Il Gladiatore” accompagnerà le pagine che si accumuleranno veloci una sull‘altra, concludere sarà uno spasso è altrettanto vero che arrivare fin lì sarà tedio e disperazione. Ci saranno momenti in cui avrò voglia di prendere questo pc romano e coniare una parola magica come “appappalua“, che a pensarci bene non è poi molto più stronza di “abracadabra“, e donargli la vita. Ma farei questo solo per sadico godimento. Ogni tasto premuto, una pugnalata profonda nella scheda madre. E il periodo stavolta col cazzo che lo farei terminare tanto facilmente: lo infarcirei di subordinate e descrizioni inutili, per un imo e denso bagno di appiccicoso sangue elettronico. Perché anche se non sono uno scrittore, il blocco dello scrittore deve essere una gran brutta cosa ed io sarò il giustiziere delle tastiere mangia ispirazione.

Un altro calcio al dito, proprio sull‘unghia, da parte di quel brutto figlio di puttana rettangolare che mi dice sorridendo: “Ma stai a scherzà? Sogna, sogna perché nun c’hai talento! Quattro ore per du’ righe, a Sciacckespirre!”

Proseguo senza dargli troppa soddisfazione. Continuo a premerlo, ovviamente molto più del dovuto, e nell'immaginazione disbosco mezza Amazzonia tanto sono ispirato e prolisso; veloce ed agile scavallo metà percorso e penso, da ignobile presuntuoso, che in fin dei conti "Back Space" stia sbagliando. Non serve mica avere talento. Sarebbe sufficiente, ora che nella mente la mia opera è già ben rilegata pronta per la produzione in serie, che una stupida tessera del domino scorrendo tra gli scaffali pieni dicesse ad un‘altra: “ma questo qui, (e indicherebbe me nella foto sul retro), è fuori come un balcone”. E così, “appappalua”, un incidente d’avorio per un libro cult.

Ok, sarebbe per mediocrità altrui ma mica ci credo a termini come meritocrazia, io. Perché se ci saranno pure un bel po’ di suicidi di massa fra due dicembri per quanto ha previsto una civiltà estinta, converrete con me che humus fresco e sterco di primissima qualità in giro non ne manca proprio. Ed allora uno potrebbe pure pensare che non provare a sfruttarla, questa pausa neurologica di una gran bella fetta del globo, sarebbe un delitto perché in un prossimo futuro potremmo pure cominciare a svegliarci.

Ma forse hai ragione tu Jean Claude “Back Space”. Il mondo è già sufficientemente pieno di Arturi Bandini che smanierebbero per potersene stare rinchiusi per mesi in una stanza polverosa di un Hotel d’America a scrivere quello che, ai loro occhi - ma solo ai loro, cazzo - sarebbe il capolavoro che li renderebbe immortali. Lì, sullo scaffale dei classici, a parlare con Twain e Hemingway come vecchi amici al pub.

In realtà solo un tremendo mal di testa per milioni di “Back Space” inutilmente pigiati che invece vorrebbero solo poter dormire o, perché no, scopare con quel gran pezzo di plastica di F12 che non li fila di striscio e che, proprio per questo, li fa impazzire e tirare calci volanti a destra e a manca sulle nostre povere dita.


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